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No, non ho apprezzato l’assenza dei sardisti ieri in Consiglio regionale, in occasione della seduta solenne per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Non mi hanno convinto le motivazioni portate da Paolo Maninchedda, esposte in un intervento sul suo sito. Ragioni che, se valide, dovrebbero soprattutto indurre i Quattro Mori ad abbandonare Cappellacci al suo destino e non a limitarsi ad una assenza irrilevante e pericolosa dal punto di vista della comunicazione (e infatti in qualche giornale i sardisti sono stati assimilati subito ai leghisti; bastava lasciare un consigliere in aula a spiegare i motivi della protesta e l’equivoco si sarebbe evitato).
Ma non è di questo che voglio parlare. Perché Maninchedda, da docente universitario e uomo di lettere qual è, in un suo articolo ha reso giustizia a tutti coloro che da anni sono costretti a sentire la nota teoria di Francesco Cesare Casulaspacciata come oro colato. Quella teoria che dice che l’Italia discende dal Regno di Sardegna, eccetera eccetera.
Anche il presidente Cappellacci l’ha fatta propria, così come, ovviamente, l’Unione Sarda.
Invece a me la teoria di Casula ha sempre lasciato indifferente. Non ne ho mai visto la reale ricaduta nella storia dei sardi e nella loro vita sociale, istituzionale e politica, e ne ho pittosto individuato di contorni di una ben congegnata operazione di marketing politico-accademico.
Per cui, leggendo quanto ha scritto Maninchedda (e sotto vi ripropongo il testo), ho esultato come i colleghi di Fantozzi, quando il ragionier Ugo sale sul palco del cinema a dire “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca!”.
Con una piccola differenza: che la corazzata Potemkin non è per nulla una cagata pazzesca, mentre la teoria di Casula forse sì.
***
Guardo con distacco e preoccupazione al nuovo vate della storia sarda di destra, il mio professore di storia medievale Francesco Cesare Casula.
Quando lo ascoltai per la prima volta, a lezione, avevo 18 anni. Mi colpì. Poco metodo storico, poco positivismo, totale oblio della lezione di Bachisio Raimondo Motzo (l’unico storico sardo veramente riconducibile per competenza alla grande scuola storica italiana e a quella tragedia/fortuna – per la cultura italiana – che fu il modernismo in area cattolica), però tanta, tanta politica, tanto odor di patria, tanto profumo della massoneria risorgimentale, tanto ricordo degli ambienti oristanesi pseudo-antiquari, tanto profumo di orgoglio arborense, tanto anti-femminismo verso la sopravvalutata Eleonora.
Casula era un affabulatore dell’eroismo sardo. Faceva politica. Forse pensava a se stesso come a uno Spadolini sardo ma, a quei tempi, lo spazio eroico della laicità era occupato dallo spirito pratico di Armandino Corona.
Dei suoi allievi di allora, molti sono oggi in cattedra. Nessuno si è fatto interprete delle sue teorie.
Incontrò Cossiga e si amarono (politicamente). Dall’idillio nacque questa solennissima minchiata della Sardegna che ha generato l’Italia, perché il titolo dei Savoia sarebbe stato prima di re di Sardegna e poi di re d’Italia. La teoria, tutta formale e non sociale, culturale, economica, insomma sostanziale, è calibrata e cucita intorno al desiderio di legittimare i tanti sardi che hanno usato la Sardegna per far carriera in Italia cosicché la loro carriera assumesse il rango morale di servizio all’Italia generata dai sardi, come se la Sardegna fosse l’Egitto e l’Italia la Terra Promessa.
Usando il suo stesso schema, cioè tutto giocato sulla formalità dei titoli della Corona Sabauda, giacché già nello Statuto Albertino il re di Sardegna è anche re di Cipro e di Gerusalemme, la Sardegna ha anche generato Israele, perché ha tenuto viva la rivendicazione all’indipendenza istituzionale della Terra Santa.
Continuiamo così, facciamoci del male con le parole separate dai fatti, con la retorica, il petto gonfio e il culo stretto!
comunque mi pare proprio che il prof. Casula a prescindere dalla teoria per cui l’attuale stato Repubblica Italiana discenda giuridicamente dal Regno di Sardegna di matrice catalano-aragonese… abbia in ogni caso puntualizzato che come nazione siamo sardi… cioè la nazione sarda è una cosa normalissima, esiste tranquillamente, anche dentro la Repubblica Italiana… poi in Sardegna, dico io, ci vive gente anche di altra nazionalità e va benissimo, ma la nazionalità sarda esiste… e allora perchè ad esempio continuare a utilizzare noi sardi di nazionalità sarda, il termine nazionale per cose e questioni di ambito “statale” ?????
Sembrerà strano ma tutte queste interpretazioni sono giuste, viste da vari punti di osservazione. I Sardi sono valorosi soldati, ma con dolore devo ammettere sono pessimi politici, quando devono fare gli interessi dei Sardi. A differenza di altri. Non sanno far valere la propria autonomia. Un cordiale Saluto a tutti i Sardi di Buona Volontà.
In quarant’anni d’insegnamento di Storia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari ho avuto migliaia di allievi come Maninchedda, di tutti i generi e caratteri, intelligenti e stupidi, timidi e presuntuosi, educati e maleducati, arroganti e cortesi. Ho trattato tutti alla stessa maniera, rispettando la persona e non umiliandola mai, anche quando all’esame la rimandavo per insufficienza di preparazione (questo era il mio mestiere). Di una cosa soltanto mi importava: che i miei studenti avessero imparato ad essere logici nell’esposizione, che dimostrassero con elementi controllabili ciò che dicevano anche quando le loro idee erano contrarie alle mie. Non mi ha mai interessato aver ragione: m’interessa la scienza, piaccia o non piaccia. Si dice che la Storia non sia una scienza. Sbagliato! Gli elementi base della Storia, che i Latini chiamavano “res gestae”, cioè i fatti, sono scientificamente inconfutabili perché valgono per tutti, europei, americani, asiatici. Ciò che non è scientifico, viene definito “historia rerum gestarum”, ed è l’interpretazione del passato fatta dallo storico secondo la propria tendenza politica o morale. Ed ora, andiamo al fatto, cioè al primo caso. Quella che oggi si chiama Repubblica Italiana è uno Stato (spero che nessuno lo metta in dubbio). Chi si vuole addentrare nella materia, e non rimanere nell’ignoranza, deve obbligatoriamente studiare che cos’è uno Stato (lo Stato, nella sua essenza elementare esiste da quando esiste l’uomo, anche se è stato definito per la prima volta dal Machiavelli). Ma per saperlo – e qui sta il punto – non bisogna leggere i libri di Storia ma quelli di Diritto: costituzionale, internazionale, ecc. Una volta capita la soggettività giuridica dello Stato (popolo, territorio e vincolo giuridico), si deve approfondire l’assunto studiandone gli attributi di personalità, che sono mutevoli (il titolo, il nome, gli emblemi, le divise, le aggregazioni, ecc.). Infine si deve stabilire come e quando uno Stato nasce e muore, e qual è la sua vita. Ebbene, una volta assunte queste nozioni, considerato che quello che oggi chiamiamo Repubblica Italiana è indubitabilmente una Stato, al quale tutti noi, insulari e peninsulari ci dobbiamo per obbligo riferire, coloro che vogliono confrontarsi con me nella Storia, mi dicano quando è nato, dove è nato e qual è il percorso storico di questo nostro Stato. Tutti manuali universitari di Diritto costituzionale, sia del periodo monarchico sia repubblicano, recitano:
«L’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna, profondamente mutato nella sua struttura politica e non meno mutato nei suoi confini territoriali …»;
«Tutte le trasformazioni che si ebbero, dall’antico Regno di Sardegna ad oggi, furono trasformazioni interne, per le quali si trasformò bensì, e per importanti materie, l’ordine giuridico preesistente, ma senza che questo venisse mai meno e cedesse il luogo a uno nuovo …»;
«Lo stesso appellativo di Regno d’Italia, assunto con legge 17 marzo 1861 n. 4671, è solo il nuovo nome, più appropriato alla nuova situazione di fatto, assunto dall’antico Stato. Ma non vi fu, né in tale occasione, né in alcuna altra antecedente o susseguente, alcuna costituzione ex novo di una entità politica statale …»;
«Vi fu adunque una ininterrotta continuità dell’antico ordinamento dello Stato sardo. Né questa continuità, a più forte ragione, è venuta meno per gli avvenimenti successivi, come la rivoluzione fascista dapprima, e quella antifascista in seguito, e il passaggio dalla forma monarchica a quella repubblicana.».
Questo vuol dire, in sostanza, che senza la Sardegna con i suoi uomini e le sue donne, le sue miserie e le sue virtù, la sua storia e le sue tradizioni, la sua cultura e i suoi modi di vita non ci sarebbe, oggi, l’Italia.
Contro tutte le nozioni apprese nelle nostre scuole peninsulariste, o attraverso letture tradizionali regionaliste, prego chi mi legge di riflettere su questi pochi dati e di andare direttamente a controllarli nelle fonti: archivistiche, letterarie, giuridiche, iconografiche, ecc. Se trova anche un solo documento che dice il contrario di quello che dico io rispetto alla nascita e alla vita dello Stato sardo-italiano, faccio ammenda e brucio tutta la mia vasta produzione storiografica.
Prof. Casula, direi che nel suo ragionamento non vi sia neppure l’ombra di una piega.
Francesco Cesare Casula
SENZA LA SARDEGNA NON ESISTEREBBE L’ITALIA
C’è una lezione che i Sardi dovrebbero affrontare ed apprendere, se desiderano veramente una loro rinascita sociale: quella di riuscire a superare – pur senza abbandonarla – l’esaltazione della propria identità per entrare finalmente nella nuova dimensione dell’individualità e diventare con essa la prima regione d’Italia. E mi spiego.
In realtà, l’identità è un concetto complesso e di difficile determinazione. In filosofia è qualsiasi cosa che rende un’entità definibile e riconoscibile, perché possiede un insieme di qualità o di caratteristiche che la distingue da altre entità; per cui – l’identità – è la consapevolezza di sé che diventa la vera e più profonda natura di un individuo, di un popolo. Però, se per identità s’intende soltanto questo: avere consapevolezza di sé, soprattutto quando essa è soffocata e contrastata dalle influenze d’oltremare, il problema – di noi Sardi – è tutto nostro, tutto interno, circoscritto nei confini dell’isola. Sarebbe, questa, la secolare aspirazione – dal tempo dei nuraghi ad oggi – di vincere l’atavica condizione dei «pocos locos y mal unidos», e di smetterla definitivamente con le divisioni singole per riscoprire tutti insieme le radici che stanno alla base di questa identità, siano esse violente o pacifiche, nobili o plebee.
Ma chiusi a riccio nel bozzolo separatista della nostra identità, finiamo per non contare niente in ambito nazionale, in rapporto alle altre diciannove regioni, forse per difetto altrui, certamente per difetto nostro.
Non avendo forza contrattuale né economica né sociale, contiamo ben poco in ambiente politico. Attualmente non abbiamo né un ministro né un sottosegretario al governo; e, questo, rivela la considerazione che si ha di noi a Roma.
Contiamo ben poco o niente nell’immaginario collettivo peninsulare italiano. Per i nostri conterranei siamo soltanto un’appendice esotica dell’Italia, una bella terra dove venire a fare i bagni; ma nessuno che arriva in Sardegna è interessato a conoscerci e, noi, a farci conoscere; non gl’insegniamo niente di nostro ed egli non impara niente di noi: né che abbiamo una storia fondamentale e primaria, né che abbiamo la migliore lingua neolatina d’Europa, né che abbiamo musiche, canti, costumi e comportamenti singolari…
Però, quel che è peggio per le consequenzialità mentali e comportamentali, è che non contiamo nulla in ambito culturale generale. Non compariamo in nessun testo scolastico ed accademico imposto dai programmi ministeriali studiati per indirizzare il popolo verso un pensiero comune. Non siamo nei libri di storia, di storia dell’arte, di letteratura…
Eppure, se si ragiona scientificamente e non per abitudine, per attaccamento a su connottu, e si salta dall’identità all’individualità che fa distinguere per qualità un soggetto da un altro, si scopre che noi Sardi siamo basilari nel contesto nazionale, che senza la Sardegna con i suoi uomini e le sue donne, le sue miserie e le sue virtù, le sue vicende e le sue tradizioni, la sua cultura e i suoi modi di vita, non ci sarebbe, oggi, l’Italia, se per Italia s’intende lo Stato italiano e non la penisola.
Ma, per proporre ed accettare questo sconvolgente assunto – dimostrabilissimo con documenti ineccepibili –, che trasformerebbe tutto il pensiero sardo e italiano, bisogna ripartire dall’inizio, bisogna costruire una nuova maniera di ragionare, bisogna reimparare quello che è stato veramente il passato comune, e non quello che vorremmo fosse stato.
Se, effettivamente, l’Italia è uno Stato, oggi chiamato Repubblica Italiana, la sua linea vitale è chiarissima: basta seguirne gli attributi di personalità nel tempo per arrivare all’inizio dell’istituzione, al primo passo del suo lungo e singolare cammino che, incredibilmente, comincia nell’isola e non nel continente.
Il Diritto pubblico recita testualmente:
«L’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna, profondamente mutato nella sua struttura politica e non meno mutato nei suoi confini territoriali …»;
«Tutte le trasformazioni che si ebbero, dall’antico Regno di Sardegna ad oggi, furono trasformazioni interne, per le quali si trasformò bensì, e per importanti materie, l’ordine giuridico preesistente, ma senza che questo venisse mai meno e cedesse il luogo a uno nuovo …»;
«Lo stesso appellativo di Regno d’Italia, assunto con legge 17 marzo 1861 n. 4671, è solo il nuovo nome, più appropriato alla nuova situazione di fatto, assunto dall’antico Stato. Ma non vi fu, né in tale occasione, né in alcuna altra antecedente o susseguente, alcuna costituzione ex novo di una entità politica statale …»;
«Vi fu adunque una ininterrotta continuità dell’antico ordinamento dello Stato sardo. Né questa continuità, a più forte ragione, è venuta meno per gli avvenimenti successivi, come la rivoluzione fascista dapprima, e quella antifascista in seguito, e il passaggio dalla forma monarchica a quella repubblicana.». (G. BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, Milano 1976, cap. III).
Purtroppo, i manuali di Diritto costituzionale, sia del periodo monarchico che del periodo repubblicano, si fermano qui: all’affermazione che «… l’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna…», e non vanno a ritroso nel tempo oltre l’Ottocento.
Eppure, il Regno di Sardegna, cioè l’attuale Stato Italiano, lo si trova nel Settecento, nel Seicento, nel Cinquecento, nel Quattrocento, nel Trecento… chiaramente segnalato dalla storia politica, dai documenti d’archivio, dalla cartografia e dall’iconografia; solo che, durante tutti quei secoli, la sua ecumene – cioè il suo popolo, il suo territorio e i suoi beni – era diversa, trasfigurata, mutata nella sua costituzione fisica ed antropologica sebbene non nella sua istituzione giuridica.
Nacque a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324 con titolo e nome di Regno di “Sardegna e Corsica”, semplificato nel 1479 in Regno di Sardegna.
Fino al 1720 fu uno Stato sovrano ma imperfetto, cioè senza la facoltà di stipulare individualmente trattati internazionali (summa potestas) perché facente parte, in “unione reale”, di un’aggregazione di Stati detta Corona d’Aragona la quale, nel 1516, insieme con la Corona di Castiglia, formò la Corona di Spagna.
Dal 1720 in poi, sganciato dalla Corona di Spagna e retto dalla Casata dei Savoia, lo Stato tornò in aggregazione di tipo federativo – chiamata collettivamente Regno di Sardegna – col Principato di Piemonte, il Ducato di Savoia e la Contea di Nizza.
La federazione finì con la “perfetta fusione” del 3 dicembre 1847 quando lo Stato da composto divenne unitario o semplice, con un solo popolo, un unico territorio, un solo potere pubblico legislativo, esecutivo, giudiziario.
Il nome statale di Regno di Sardegna si mantenne fino al termine della prima fase delle guerre risorgimentali. Il 17 marzo 1861, con legge sarda n. 4671, fu cambiato in Regno d’Italia.
E… con il cambio del nome allo Stato la domenica mattina del 17 marzo 1861, inizia il “Grande Inganno” che coinvolge ed inficia non solo la storia nazionale ma tutto il modo di pensare della società oggi detta italiana.
Da quella mattina del 17 marzo 1861, infatti, la storia dello Stato non è più la storia del Regno di Sardegna, iniziato nel 1324 e pregnato per 537 anni dal sangue e dal sudore dei Sardi di qua e di là del mare, ma la storia della Penisola, dagli Etruschi ai Piemontesi. Per cui, a scuola, dove si plasma e s’indirizza la società del domani, s’insegna la battaglia di Legnano o la disfida di Barletta affatto ininfluenti nella formazione dello Stato, e non la vittoriosa battaglia di Lutocisterna o l’altrettanto vittoriosa battaglia di Sanluri senza le quali, oggi, non ci sarebbe quell’entità per la quale tutti noi, insulari e peninsulari, lavoriamo, preghiamo, combattiamo e, ahimè, paghiamo le tasse.
Il mio intervento termina qui. Pur convinto di essere depositario di una verità storica rivoluzionaria, mi considero un schmoch, uno che dedica il proprio tempo ad una missione – quella di riuscire a cambiare la testa ai miei conterranei – che, in pratica, non interessa a nessuno: non interessa all’accademia, dove i miei colleghi continuano a parlare di una Sardegna regionale dominata da Romani, Bizantini, Pisani, Spagnoli, Piemontesi…; non interessa alla gente comune, tutta presa dai problemi quotidiani di lavoro e di benessere materiale, più propensa allo svago che alla meditazione; non interessa ai nostri politici, nazionali e regionali, i quali si sono perfino autoesclusi dalle celebrazioni del centocinquantenario dell’unità d’Italia, benché a condurre il Risorgimento sia stato il Regno di Sardegna.
Fra qualche mese verrà il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in visita nell’isola. Sono sicuro che ci presenteremo a lui con il cappello in mano, con l’atteggiamento dell’umile servo di sempre.
Premesso che:
1) Le teorie storiche su fatti risalenti a quasi 300 anni prima (1720: lo scambio con gli Asburgo tra Regno di Sardegna e Regno di Sicilia) possono essere tutte valide e tutte fallaci; la Storia non è una scienza esatta come la Matematica: la scelta delle fonti e l’interpretazione di esse lasciano ampio spazio alle più svariate teorie!
2) La teoria di Casula fa rabbrividire anche me. Sembra che sia stato rovesciato il rapporto di cui sopra: cioè per dimostrare una certa teoria siano state fatte scelte ad hoc riguardo le fonti!
Premesso quindi che sul merito potremmo trovarci d’accordo, ed ancor più sul fatto che almeno un sardista dovesse essere in Aula a dare le motivazioni di tale assenza (altrimenti gli assenti hanno sempre torto!), quel che ci divide profondamente, e non da oggi, è il giudizio sull’on. Maninchedda, che non ha affatto reso giustizia ai Sardi che pensano che la teoria di Casula sia ‘ una cacata pazzesca’ perché Maninchedda fa parte e, anzi, ne è classe dirigente, di quel partito che ha regalato la bandiera dei 4 mori a colui che pensa (e, cosa ancor più grave che afferma!) che i nuraghi fossero una sorta di silos per granaglie. Non ricordo una anche timida presa di posizione dell’On.Maninchedda al riguardo: in confronto la teoria di Casula sul regno sardo è oro sopraffino! Inoltre continuo a ritenere l’On. Maninchedda una persona che predica bene ma razzola malissimo sino a legittimare l’eterna domanda: MA C’E’ O CI FA? Se ritorniamo al presente, i sardi vogliono sapere se ci verranno restituiti i fondi FAS, se la prossima manovra ‘italiana’ farà perdere ai sardi un altro miliardo di € e come mai di fronte agli atteggiamenti freddi di Nizzi e tiepidi di La Spisa e Cappellacci, il suo partito non abbia ancora provveduto a staccare la spina (non La Spisa) alla Giunta di quest’ultimo…. di fronte ai problemi del lavoro in Sardegna, che verranno presumibilmente aggravati dalla scure di Tremonti, vorrei vedere il Nostro spiegare a Portovesme o a Portotorres, a Villacidro o nella sua stessa Macomer la teoria del ‘noi lavoriamo a disarticolare il bipartitismo italiano. Cappellacci lo sa. Non vogliamo andare alle elezioni con lo stesso schema italiano con cui ci siamo andati l’ultima volta. ‘ Chissà le ovazioni e le grida di giubilo! E qui mi fermo perché tanto altro ci sarebbe da dire sul metodo ‘democratico’ di censura dei commenti che Tu, Vito, hai giustamente criticato sul sito di Sardegna Democratica, ma che ti invito (scusa il gioco di parole) a verificare anche nel sito dell’On.Maninchedda. Saluti da Antonello Casini.
Caro Antonello,
concordo in pieno sulle tue riflessioni sul PSDAZ. Dal punto di vista storiografico (visto che dici “fatte scelte ad hoc riguardo le fonti”), invece, ti invito a trovare delle fonti che dicono il contrario al fatto che il Regno di Sardegna, nato il 19 giugno 1324 a Bonaria, sia quello Stato che, attraverso varie vicissitudini storiche, abbia poi cambiato nome in Regno d’Italia il 17 marzo 1861 (con conseguente “truffa” ai danni della storia).
Giovanni Serreli
davvero non capisco cosa cambierebbe “ripristinare” questa supposta verità storica. siamo i soliti sardi piagnoni. dovremmo pensare alle cose concrete, non alla corona del Regno di Sardegna…
Beh.. per chi di mestiere fa storia (e non politica) “ripristinare” la verità storica dei fatti, quando essa emerga con chiarezza dalle fonti documentarie, è esattamente il cuore della propria missione professionale e sociale.
E, al contrario, è avvilente vedere che chiunque (anche chi non ha fatto studi in merito) si sente in diritto di screditare il lavoro altrui (anche di chi invece è un professionista del settore). E ciò senza apportare fonti a sostegno di quanto si asserisce: la storia si fa con le fonti, con cui corroborare eventuali teorie; le opinioni personali, se non corroborate dalle fonti valgono quanto il due di picche.
Io non capisco perché, nell’ottica del perseguimento dell’interesse prettamente sardo, allearsi con Berlusconi sia una nefandezza, mentre ci si dovrebbe alleare al PD o all’IDV.
Anzi, la verità è che lo capisco perché anche io sono stato accecato dall’antiberlusconismo, fenomeno più che giustificato come italiani, ma fuori prospettiva in quanto sardi.
A dirla tutta i partiti “di sinistra” (come il Pd vorrebbe considerarsi… in base al tema trattato) sono persino peggio di quelli “di destra” in quanto a riconoscenza e rispetto nei confronti delle spinte federaliste e/o indipendentiste.
E per fortuna non è vero che “l’isola ignora gli indipendentisti”.
Ricorderei che alle ultime provinciali su un totale di votanti inferiore al 57% degli aventi diritto (ciò significa un bacino di voti enorme), la somma delle percentuali dei partiti indipendentisti andava dal più basso 9,49% dell’Ogliastra fino al 21,23% di Nuoro.
Non dimentichiamo che la Lega GOVERNA L’ITALIA con il suo 8,3% delle ultime politiche.
Dopo aver letto, parecchio in ritardo, shimè! sostengo: Pocos, (Locos?) y Mal Unidos…dopo più di 600 anni lo siamo ancora..poveri noi!!!!
La mia riflessione, da voi pubblicata con la mia firma oggi 4 aprile, l’ho contemporaneamente inviata anche al sito dell’on. Maninchedda (http://www.sardegnaeliberta.it/?p=2854). Dopo essere rimasta alcune ore in “attesa di essere valutata”, a tuttora non è stata pubblicata. E il sito si chiama “Sardegna e libertà”. O la mia riflessione è ritenuta priva di qualsiasi interesse, oppure… Tutto ciò si commenta da solo. Giovanni Serreli
Ho letto solo questo fine settimana l’ultima presa di posizione di Paolo Maninchedda, soprattutto per quanto riguarda «La teoria, tutta formale e non sociale, culturale, economica, insomma sostanziale» di Francesco Cesare Casula, che fa il nostro accademico e onorevole consigliere regionale di maggioranza (con il Popolo delle Libertà), presidente della commissione “Programmazione economica e sociale, Bilancio, Contabilità, Credito, Finanza e tributi, Demanio e patrimonio, Partecipazioni finanziarie”.
Faccio solo poche brevi riflessioni sul suo intervento che non condivido nella forma e nella sostanza.
Nella forma perché affronta con termini poco corretti quanto egli critica: ovviamente mi riferisco alla posizione storiografica di Francesco Cesare Casula.
Nella sostanza perché il suo argomentare non si basa su alcuno dei fondamenti del fare storia: il documento. Insomma, non si può parlare di «solennissima minchiata della Sardegna che ha generato l’Italia, perché il titolo dei Savoia sarebbe stato prima di re di Sardegna e poi di re d’Italia. La teoria, tutta formale e non sociale, culturale, economica, insomma sostanziale, è calibrata e cucita intorno al desiderio di legittimare i tanti sardi che hanno usato la Sardegna per far carriera in Italia cosicché la loro carriera assumesse il rango morale di servizio all’Italia generata dai sardi, come se la Sardegna fosse l’Egitto e l’Italia la Terra Promessa» senza citare un documento che lo dimostri. Che piaccia o no la documentazione coeva dice che il Regno di Sardegna (nato nel 1324 a Bonaria), espanso a quasi tutta la penisola, nel 1861 ha cambiato il nome in Regno d’Italia; nessuno ancora ha dimostrato (seriamente) il contrario.
Ovviamente questa è la forma, il contenitore che contiene un contenuto, una sostanza multiforme, varia, da studiare e da comprendere.
Ma questo contenuto, questa sostanza non si può comprendere senza prestare la giusta importanza alla forma contenitore.
Potrei ironizzare dicendo che i fondamenti (quindi il contenitore, la forma) del Partito Sardo d’Azione, nel quale Paolo Maninchedda milita, sono condivisibili da tutti; peccato che nella sostanza poi sia quel partito che ha svenduto la nostra bandiera regalandola a quell’Uno che Paolo Maninchedda tanto critica; che sia proprio nella sostanza che quel partito voglia essere “di lotta e di governo” come la Lega, che tanto viene criticata: il PSd’Az è con il PDL oppure no? Ricopre incarichi di governo, oppure no? Chi è che deve andare a dire agli amici di Roma, di cui, in qualche modo, si è artefici, che la Sardegna merita più autonomia?
Ma voglio solo rimarcare la banalità della critica storiografica: la forma è importante per conoscere la sostanza, non la si può ignorare o falsificare. Molte persone che intervengono in questi blog e commentano queste notizie usano la storia con palesi falsità (e le ho sentite pure in diretta da un ex consigliere regionale del PSd’Az). Lo stesso Maninchedda, quando dice “Usando il suo stesso schema, cioè tutto giocato sulla formalità dei titoli della Corona Sabauda, giacché già nello Statuto Albertino il re di Sardegna è anche re di Cipro e di Gerusalemme, la Sardegna ha anche generato Israele, perché ha tenuto viva la rivendicazione all’indipendenza istituzionale della Terra Santa”, banalizza e falsifica la storia e il pensiero storiografico di Casula, altrimenti argomentato: il Regno di Sardegna è stato realizzato di fatto, nella storia, col sangue; il Regno di Cipro e di Gerusalemme non è mai stato realizzato, come migliaia di altri titoli nominali apparsi e scomparsi dalla storia!
Ed a proposito di questo Regno di Sardegna, spesso si dice (con accenti da martiri) che esso sarebbe nato sulle spoglie dei quattro “giudicati”. Falso: quando nel 1324 viene completata la conquista catalano aragonese dei territori pisani in Sardegna, dei quattro “giudicati” tre erano finiti da tempo (per lotte intestine o sconfitti dai pisani: 1258 Calari, 1272 Torres, 1288 Gallura). Il quarto ed ultimo, il famoso e glorioso “giudicato” arborense, in quel 1324 era alleato dei catalano aragonesi, il suo re si era fatto loro vassallo!
Queste non sono “pibincherie” storiche, non sono forma e basta; ci dovrebbero insegnare molte cose. Ci dovrebbero raccontare di come noi sardi diamo le colpe agli altri, quando siamo noi stessi gli artefici dei nostri mali: così come l’arrivo dei catalani in Sardegna fu possibile grazie all’alleanza con il “giudicato” di Arborea, che anzi ne sollecitarono l’intervento; così come oggi lo strapotere dell’Uno (Berlusconi, che forse Maninchedda si vergogna a nominare) in Sardegna è dovuto anche alla politica di Maninchedda e del suo partito, gli esponenti del quale regalano i quattro mori al potente milanese di turno. Sia all’Arborea che al PSd’Az si può dare il beneficio d’inventario delle buone intenzioni, ma la sostanza…
Insomma: solo studiando la sostanza, il contenuto, nel suo giusto contenitore, forma (come ce la presentano i documenti) possiamo crescere e comprendere perché ci affidiamo sempre al primo straniero che arriva dandogli carta bianca (e bandiera dei quattro mori) del nostro futuro.
Giovanni Serreli
Leggo solo ora e se mi è concesso vorrei dire la mia opinione da sardo appassionato della sua storia.
Non condivido minimamente quanto scritto da Mannichedda semplicemente perche quanto afferma non è per niente supportato da fonti certe e attendibile, in poche parole è solamente il suo personale pensiero basato più su logiche personali che su fonti storiche. Apprezzo invece quanto afferma Casula per una semplice ragione: lui per poter formulare le sue idee ha trascorso una vita rintracciando in tutti gli archivi possibili documenti riguardanti la storia sarda, li ha studiati e li ha fatti conoscere a tutti i sardi. Lui dice semplicemente che esiste in qualche archivio sardo, catalano o pisano un documento che permette di arrivare certe conclusioni. Ecco, per questa ragione, da sardo, un grazie al Prof Casula per il suo immenso lavoro che ci ha permesso di conoscere un po’ di più la nostra storia. Forse, da sardi, dovremmo essere molto più pragmatici e stare per bene con i piedi per terra, fare in modo di sapere cosa è realmente successo sulla nostra Isola in ogni epoca, aiutare chi si spende lealmente per fare chiarezza sui tanti nostri periodi bui, perché la nostra sopravvivenza come popolo sta tutta nel conoscere i dettagli storici che hanno fatto di noi quelli che attualmente siamo. Con permesso, la minchiata è di Mannichedda che accosta il regno di Sardegna al regno di Gerusalemme per spiegare la formalità dei titoli sabaudi, dimenticandosi di dire ai sardi che il titolo di re di Sardegna fu reso sostanziale dalla vittoriosa invasione catalano aragonese, mentre per quello di re di Gerusalemme non ci fu nessuna invasione sabauda della Palestina e il titolo rimase perciò formale. Se Mannichedda vuole confutare Casula, per favore lo faccia documentando seriamente i suoi argomenti, senza uscite plateali e senza cercare di prendere i sardi per i fondelli perché, da quanto vedo in giro, sono sempre più numerosi quelli desiderosi di conoscere la loro storia e farsi da soli una opinione.
Per Francesco II. L’indipendentismo non puoi capirlo. Ti fa ridere come le cose intelligenti fanno ridere gli stolti. Studia, bello, e poi parla.
Lei ha ragione, Maria Sofia. Devo studiare l’indipendentismo. Mi manca però qualche riferimento. Ci sono troppi maestri di pensiero. Sono indeciso tra Cumpostu e Sale, ma ci sono altri ideologi di peso. Forse dovrei andare a ripetizione da quel Trincas di Oristano. Ma sono menti elevate, forse troppo per le mie possibilità.
Se posso dirlo, senza nessuna malizia, gli indipendentisti – che per fortuna sono irrilevanti per numero e idee – costituiscono una vera piccola tragedia per l’isola che per fortuna li ignora.
Tuttavia ha ragione, devo studiare.
Incomincerò da una raccolta dei discorsi di Gavino Sale.
L’articolo di Biolchini era sulla comica teoria di Casula definita una “minchiata” da Maninchedda. E le sue massime saranno la seconda lettura. Un libro da comodino.
Cordialità,
Francesco
Cara Maria Sofia, dopo le candidature suicidio delle due donne indipendentiste le do ancora una volta ragione. L’indipendentismo non posso proprio capirlo.
Casula insiste e parla oggi di una riva sarda del lago di Garda.
Ma anche Maninchedda insiste sparando scemenze di prima sfera.
E’ una bella gara.
Ma tra i due è più divertente Casula.
Maninchedda non ha lo stesso effetto comico.
Però ci può provare, visto che l’indipendentismo fa il paio con la riva sarda del lago di Garda.
come tutti voi ho fatto le scuole coloniali: elementari, medie inferiori e medie superiori… 0′, niente da dire, è stata una fortuna andare a scuola, l’unica cosa in storia, tutte le volte al risorgimento nelle cartine ne veniva fuori questo regno di sardegna che non si capiva da dove ne fosse uscito.
“non preoccuparti è il piemonte. lo chiamano regno di sardegna ma è il piemonte fidati”
“ma c’è anche la Sardegna nel regno di sardegna?”.
“non lo so, comunque tu pensa che d’è il piemonte e vai tranquillo”.
Che dibattito! La cosa più penosa è questo Trincas, che in consiglio provinciale ad Oristano, rifiuta di rendere onore alla bandiera nazionale, sventolando quella del suo ridicolo partito: è ora di uscire dall’ipocrisia e isolare questi personaggi che pensano ancora a un indipendentismo che non sta in piedi, privo di futuro e non in grado di offrire alcuna prospettiva di riscatto alle nuove generazioni. E forse è pure ora di smetterla di parlare di federalismo, di “sovranità” (sic! – ma andate a leggervi la sentenza della corte costituzionale di qualche anno fa…), con tutte le ricadute in termini di allargamento del perimetro pubblicistico e relativi costi (piccioccusu, no c’è dinai….). Siamo un paese invaso da una legislazione regionale sempre più ipertrofica, con la gara a “regolare” con leges, forse per segnare il territorio…. Quello che serve, invece, è continuare – con determinazione, nel processo di ridisegno dell’amministrazione pubblica del paese, con le Regioni- Enti ad autonomia forte, ridefinire il “chi fa che cosa” delle autonomie locali, rilanciando la coesione nazionale. Con buona pace dei sardisti, di Maninchedda, Sale, “A Manca pro……(ita?) e di tutta questa bella gente
Coraggioso l’anonimo Brunetto Latini! Ma sì, smettiamola e accettiamo questo stato di cose così esaltante che è l’Italia contemporanea in cui stiamo affogando! Complimenti per il rispetto delle idee altrui soprattutto. E grazie per averci dato le priorità che non mancheremo di seguire per non essere esclusi da quelli che contano… una mazza.
Come è noto, l’esperienza di uno Stato centralizzato in Italia è stata esaltante, l’Autonomia regionale sarda pure, per cui non diamoci pena, e emigriamo. Sventoliamo tutti il tricolore nelle piazze come balossi alla fiera del conformismo, “siam pronti alla morte” e “Italia chiamò”.
La riforma dello Stato senza federalismo? E come? Ci sono progetti esimio Brunetto, a parte quello di nascondersi dietro il dito o dietro “Giornate particolari” come quella del 17 Marzo? L’indipendentismo (che io non condivido) ci parla di problemi veri, di disagio, di sconforto per l’Italia e di ricerca, per quanto talvolta ingenua (ma anche ricca di riflessioni più interessanti di tante altre), di soluzioni per uscire da una situazione terribile che è quella della Sardegna. La cultura della sinistra istituzionale non ha risposte, questa è la verità a mio parere, ed è infastidita moltissimo dalle riflessioni altrui. Che, quindi, si mostrano ancora più interessanti proprio perché fanno venire l’orticaria ai conformisti alla Brunetto Latini.
Io non condivido l’opzione indipendentista perché secondo me non sarebbe una soluzione ai problemi urgenti della Sardegna, perché non credo molto nel sistema degli Stati nazionali e invece credo molto nell’Europa, la grande assente di questi provincialissimi giorni italioti. E credo soprattutto nei diritti, fra cui quello di non partecipare alle Feste nazionali e anche a quello di avere opinioni diverse.
Però, considero mio avversario Berlusconi e la destra, il Partito eternamente dominante in Italia, e considero autolesionista, miope e pericolosi gli attacchi carichi d’odio verso l’indipendentismo. Il settarismo dogmatico mi infastidisce e credo che, sulla base di una comune aspirazione verso una Sardegna non più dipendente e asservita in modo scandaloso si possa e si debba unirsi. L’unità fra la sinistra e i vari indipendentisti e sardisti dovrebbe costruirsi proprio sulla base di un programma che conduca a liberare la società sarda da questi vincoli della dipendenza, senza rigidità dogmatiche come quelle dell’ANONIMO Brunetto e di molti indipendentisti, speculari, e che hanno aperto la strada al pessimo quadro politico attuale nell’Isola.
Queste esaltazioni patriottarde sono peraltro dannose, vorrei farvelo notare, in un Paese razzista come il nostro verso 5 milioni di immigrati. La Francia, paese altrimenti serio, ha appena preso a pernacchie il dibattito sull’identità nazionale proposto da Sarkozy per questi motivi. Qui nella provincia italiana invece batte la grancassa ottocentesca. Cosa non sorprendente in un Paese che è stato colonialista e che ha azzerato e annullato, anche violentemente, le grandi differenze che esistono al suo interno e che sono frutto di una storia fatta di diversità che dovrebbe essere considerata la sua vera ricchezza. Una storia (quella d’Italia) che, come diceva giustamente Gramsci, non è peggiore di tante altre e anzi è migliore di tante altre, ed è sicuramente diversa da quella che la storiografia photoshop (ottimo Bolognesi!), sia in versione Falso Casula d’Arborea che in versione Napolitano, ci stanno propinando in questi giorni in cui, vi ricordo, stiamo entrando in una guerra, è appena stato raso al suolo il Giappone e il Mondo Arabo sta cambiando, forse per sempre. E noi, sul Titanic, a giocare con questi bunga-bunga della storiografia photoshop. Poveri noi!
Tropu togu custa borta, Maninchedda! Seu de acordiu cun totu, foras ca mi praxit ca Casula seghit is patatas a is Italianus. Su chi fait issu est a ddis arregordai ca is parentis pobirus funt prus titolaus de issus. E ddis donant aici fastidiu ca ant fatu sparessi su Rennu de Sardinnia de sa storiografia photoshop chi si ant fatu po is 150 annu de su corpus chi ddus at nascius!
Faccio notare che Aldo Accardo giusto quest’anno ha pubblicato il testo: “Scegliere la patria” (Donzelli editore), nel quale, più o meno indirettamente, conferma la realtà formale, ovvero la tesi di Casula sotto al profilo istituzionale, ma facendo notare quanto sostanzialmente i Sardi non contribuirono alle fasi del processo risorgimentale. Ponendo inoltre alcuni interrogativi sulla scelta della patria (da cui scaturisce il titolo del saggio).
Praticamente, secondo diverse sfumature, ciò che andiamo ripetendo su U.R.N. Sardinnya da qualche anno.
Nei commenti di vari osservatori vedo purtroppo un tentativo di alcuni nazionalisti Sardi (anch’esso metodologicamente privo di consistenza) di cancellare la realtà formale dell’evoluzione di una istituzione, per dare risalto a quella sostanziale, in cui i Sardi furono “attori non protagonisti” (per citare una definizione cinematografica) del loro destino durante il periodo risorgimentale.
La verità è che metodologicamente la storia o si racconta per quella che è, sia sul piano sostanziale che formale, oppure ci stiamo prendendo in giro da soli.
Se dessimo retta alla linea di “rimuovere” la realtà formale per dare spazio a quella sostanziale, allora dovremmo dire che pure l’unità d’Italia non ha senso, in quanto la Repubblica Italiana scaturita dopo il fascismo ha una struttura costituzionale (e geografica) ben diversa da quella del Regno d’Italia dal 1861 al 1948. Sarebbe insomma uno Stato diverso da quello precedente. Allo stesso modo in cui dal 1847 al 1861 la struttura del Regno di Sardegna passò da un modello federale (isola di Sardegna e Ducato di Savoia, ecc) ad uno in cui diverse pertinenze amministrative furono uniformate (e che dal 1861 cambiarono denominazione).
Condivido con entusiasmo il commento di giuseppe. Spiegatemi voi qual è la città che ha un Palazzo Viceregio! Forse New Delhi, non so. Noi ce l’abbiamo però come al solito ogni originalità va male per l’ossessione conformista dei ceti che maldominano la Sardegna. Meglio Palazzo Regio, anzi chiamiamolo PalaHogan o PalaMoncler, chissà che a Cortina non comincino a considerare le élite sarde fighissime e degne di essere invitate in Villa, e non sulle macchinette.
Son d’accordo e aggiungo: guarda che abbiamo rischiato anche di più. C’era chi voleva cambiare il nome delle strade cagliaritane (piazza Savoia, via Cavour, ecc.). Il che, tra l’altro, sarebbe stato pericoloso, visti i gusti toponomastici degli ultimi anni a Cagliari…
A me pare che ci sia un problema grosso nella storiografia sarda, e sia quello del mestiere che manca (peraltro molto diffuso in Italia, che in pratica non ha storici tradotti all’estero, a parte ovviamente Carlo Ginzburg e forse Pavone). Rinchiusi nella piccola sacca sarda, senza mai confrontarsi con l’esterno, scrivono libri illegibili ma anche contraddittori e contestabili anche da parte di qualsiasi lettore minimamente istruito. Sto leggendo la serie pubblicata sulla Nuova Sardegna e spesso sono affranto da contraddizioni, superficialità, nessuna densità sociale, economica, antropologica ecc. dei testi.
Per quanto riguarda Casula, ringrazio Maninchedda per aver detto che il Re è nudo e sottolineo come mai, dico mai, nessuno degli storicufficiali della cosiddetta sinistra sarda si sia preso questa briga. E’ un gesto di svelamento e di verità che gli fa onore e non vedo che cosa c’entri con le sue posizioni politiche (per me terribili). Da sociologo, mi viene in mente che la storiografia sarda non è mai uscita dalla dimensione dei Falsi d’Arborea come pratica di legittimazione dei propri prodotti. Incapace di fondare una storia della Sardegna che sia legittimata per il tipo di ricerca condotta e per il fondamento anche empirico dei propri asserti (tranne le dovute eccezioni, ovviamente), nonché dal riconoscimento dei colleghi che vivono nel resto del mondo, si legittima ossessivamente con un incastro impossibile delle vicende sarde nella “storia nazionale”. Il suo pubblico sembra il Rotary, il loro stesso microbico giro o l’Assessore di turno (in questo caso il Podatario Cappellacci o chi per lui) più che i colleghi o il lettore critico. Sembra che, più che spiegarci gli eventi dell’Isola, vogliano mostrarne un carattere ontologico, tutto spiegabile nella sua “italianità”, oppure nella sua “sardità” (operazione speculare) e mai in base ad essi stessi, alle loro condizioni, ai processi al cui interno si trovano, quali che siano e senza badare alle convenienze, come è dovere di ogni studioso. Insomma, a me sembra una storia a tesi, in cui l’appartenenza ideologica, la sparata politica, e un deprimente tiro al piccione su qualsiasi possibile sua positività, soprattutto se proveniente dai sardi stessi e dalle loro iniziative in ogni campo, la fanno odorare di cimitero da subito. Ovviamente, nessuno li caga fuori dalla Sardegna vista la loro pochezza, e questo è buono, per amor di patria bisogna dire che questo è ottimo. Però è triste che un campo così importante per la formazione della coscienza critica sia in mano a mestieranti e a accozzati piuttosto che a professionisti.
In realtà lo storico Aldo Accardo in un libricino passato ai più inosservato e intitolato “Eutanasia di un regno – Fine delle istituzioni del Regnum Sardiniae e nuovi rapporti tra Sardegna e Piemonte”, libro del 2006 edito da Aìsara, a proposito della tesi di F.C. Casula alle pagine 10 e 11 scrive:
“Negli ultimi anni è stata presentata con molta insistenza la tesi dell’esistenza di una continua statualità del Regno di Sardegna dal 1324 ad oggi […].
Si tratta di una tesi del tutto isolata nel panorama storiografico, ma che ha comunque una notevole diffusione nell’isola, soprattutto nel mondo della scuola, dopo che la stessa Regione sarda ha distribuito a tutti i docenti di materie letterarie delle scuole medie e superiori un poderoso Dizionario Storico Sardo (opera dello stesso Casula), incentrato proprio su questa tesi.
Corollario di quanto sostiene Casula è la questione se sia la Sardegna a confluire nel Piemonte o viceversa. Questione che sembra essere alquanto astratta. Credo infatti che siano inconfutabili due considerazioni: in primo luogo, che fu l’isola a buttare a mare i vecchi ordinamenti per abbracciare quelli piemontesi […]; e, in secondo luogo (ed è questa la considerazione rilevante), con la concessione dello Statuto sono entrambi – Sardegna e Piemonte – ad entrare di fatto sotto un nuovo Stato, caratterizzato da una politica nuova e più moderna. La cosidettà “fusione perfetta” del novembre 1847 rappresenta un momento cruciale nella storia della Sardegna, poiché segna la fine di una plurisecolare esperienza statuale […].”
Per quanto riguarda invece la questione della “sindrome da carte false” e della storia a tesi, anche il semiologo indipendentista Franciscu Sedda nel libro “I sardi sono capaci di amare – Coscienza e futuro di una nazione”, edito da Kita, ha scritto:
“Per chi non fosse cultore di questo particolarissimo caso di complesso di inferiorità ottocentesco, basti pensare tuttavia a quanti libri odierni, basandosi su ipotesi fantasione e ragionamenti scapestrati, su indizi inesistenti e su associazioni di dati a dir poco puerili, se ne escono fuori sostenendo che in Sardegna si è praticamente inventato tutto, che qui è successo tutto ciò che (secondo le personali preferenze degli autori) è degno di essere ricordato sulla faccia della terra: dal paganesimo più spinto, al monoteismo più puro, dalla società senza classi al contatto con esseri extraterrestri, dal perfetto autoctono isolamento, al dominio dei mari e del mondo (senza scordare i segreti templari che ci stanno sempre bene). Insomma, qui sarebbe la vera e unica origine della civiltà, qui il principio e l’enigma, qui e solo qui il mistero aurorale e i criptci segni della risposta. Ma non è la stessa cosa che ripetono tutti i nazionalisti beceri e frustrati? Tutte le utopie degenerate? Tutte le disperate fughe dalla normale complessità del mondo?”.
Mi sbagliavo, non conoscevo il libro di Accardo, me ne scuso. In ogni caso ne approfitto per dire che citare le cose senza far nomi, come fa Accardo a proposito del Falso d’Arborea Casula, nell’estratto del libro citato dall’anonimo (che palle, detto fra noi, questo dialogo fra maschere, manco avesse detto chissà che, funti totus bregungiosus!), è tipico di una cultura politica e accademica che ha orrore di esprimere apertamente le proprie opinioni e che si nasconde, è prudente, sopisce. In una parola di una cultura arcaica, che non ha capito bene che in democrazia le cose che si pensano si dicono. Anzi, che questo è il fulcro della democrazia, altro che modernizzazione, arretratezza, condizioni non mature e altri paraventi! Ci si mette la faccia, sempre, e si accetta di non essere d’accordo, di essere in minoranza, in una parola, di vivere e non di sopravvivere, come dice il fratello di Marco Carta sui muri di Cagliari
Mi risbagliavo, non è anonimo si chiama Mario Garzia me ne scuso tantissimo ma sto lavorando molto al comp e il neurone sfugge ogni tanto.
e mi che lo so che sono settario, anni settanta, dogmatico e barroso, ma la chi dappu arroscia custa litania..
non capisco chi si stupisce delle analogie tra lega e psdaz. voglio dire, entrambi sono partiti di lotta e di governo, no? entrambi sostengono il centrodestra, vuoi per il federalismo, vuoi per disarticolare ilsistamapartitiblabla (come se, in una sardegna indipendente, non ci dovessero essere destra e sinistra) . entrambi fanno o sostengono coi loro voti leggi che, sotto sotto, implicitamente o esplicitamente, ritengono delle porcate. d’altronde, mi pare – forse ricordo male – che l’attuale leader sardista sanna si sia presentato alle elezioni politiche proprio nelle liste della lega qualche anno fornendo così argomentazioni anche ai meno attenti conoscitori della storia sardista.
certo qualcuno non può più gridare alla tirannia, non può più gridare che il “popolo ha fame”, come nell’era dell’oligarachia oscurantista tiscalina. anche perchè oggi, col psdaz finalmente al governo, siamo un po’ tutti più felici e la fame ci è passata.
F.C. Casula, come molti sardi, soffre di “disturbo narcisistico di nazionalità”. http://www.cagliarifornia.eu/2011/01/i-sardi-temono-laltrui-indifferenza.html
Sul tema un brano del recentissimo e innovativo libro di Leopoldo Ortu “Storia della Sardegna, dal Medioevo all’età contemporanea” : “Anche per non confondere, infatti, le idee a chi intende conoscere la complessa storia dell’Isola, che procede su binari spesso non proprio coincidenti con quelli indicati dai manuali di Storia generale sembra opportuno evitare scelte troppo particolari, o unilaterali come sono quelle basate solamente su alcuni dei tanti settori o “campi” o specialità della Storia, tutti necessari, ma nessuno superiore o prioritario rispetto agli altri, dunque neppure quello delle Istituzioni (vuoi che siano “politiche”, “giuridiche”, o “economiche”). Altrimenti, fondandosi solo su tali basi, prima o poi si inciampa e si porta il lettore, specie quello che ancora non sa quanto siano numerosi e vasti gli ambiti della storiografia (oppure: non ancora smaliziato dinanzi alle molte sirene dell’oceano storiografico) in un vicolo cieco, in un “mare incognito” e periglioso, a convincimenti unilaterali. Un esempio del fenomeno è offerto da F.C. Casula quando fa partire dal 1324 “l’Evo Moderno sardo”, perché egli induce così coloro che conoscono la Storia a rimanere piuttosto perplessi e i molti che con essa non hanno dimestichezza a sorvolare sul fatto che proprio
in quell’anno fu definitivamente e completamente introdotta in Sardegna l’istituzione
principe del Medioevo, ossia quel sistema politico, economico e sociale che era sorto in
Europa molti secoli prima ed era stato istituzionalizzato da Carlo Magno: il Feudalesimo
appunto.
Il Feudalesimo, insomma, fu definitivamente imposto all’Isola quando altrove stava
tramontando, o veniva progressivamente smantellato dai liberi comuni, o dalle signorie
e dai principati in Italia o dalle monarchie nazionali in Europa. Si tratta, invero, di uno
scarto temporale troppo vasto per essere trascurato, di cui al contrario si deve assolutamente
tenere conto per ragioni metodologiche generali e fondamentali e, nello specifico,
per intendere uno degli elementi caratterizzanti, peculiari della storia della Sardegna. Si
tratta di un elemento essenziale che la scelta del Casula non sembra valorizzare adeguatamente, forse per dare il massimo del risalto possibile al Regnum, che rimane un elemento sicuramente importante, ma non unico, ossia da non utilizzare come griglia interpretativa; che anzi, nel “fare storia” non se ne dovrebbe utilizzare alcuna, come spiega P. Veyne.””
Non sono un grande storico, seppur dall’alto dei miei dieci esami di storia a scienze politiche, (qualcuno anche con storici di peso, ad esempio http://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Firpo), ma la teoria casuliana mi è sempre sembrata una non teoria. Non teorizza infatti niente ma si limita a fare delle ipotesi talmente generiche che anche io, a-storico, avrei potuto fare. Grazie a Manichedda per averlo fatto: avrei voluto precederlo e dire:- Quella teoria è una cagata pazzesca!
Scrive Maninchedda:
“Noi ci sentiamo “resistenti”.”
Sarebbe interessante sapere in cosa consiste la resistenza dell’onorevole P.Maninchedda, il quale ha brevettato un sardismo ondivago del quale si vergognerebbero i poveri padri dell’indipendentismo.
Quel “resistenti” è un’offesa a chi resiste davvero.
Ripeto, la teoria di F.C.Casula desta ilarità, ma lo storico di fantasia è preferibile al piccolo politico che segue i venti e le maree.
Sì, perché di piccola politica si tratta, piccolissima.
a proposito di fesserie: e quella di chiamare regio il palazzo viceregio?
era ora che qualcuno lo dicesse… mi accodo.
E’ una minchiata pazzesca di chi vuole cercare una storia vincente del popolo sardo.
La realtà è un’altra, e il Piemonte ci stava per vendere alla Francia, altro che guidato l’Unità d’Italia.
Erio seriamente preoccupato perché non avrei mai pensato che le vicende della vita mi avrebbero condotto ad essere d’accordo con l’onorevole Maninchedda.
Lo considero un brutto sintomo, un cattivo presagio, ma non ce la facevo a sopportare l’improntitudine della teoria di Cagliari capitale del Regno d’Italia di F.C. Casula.
Poi mi sono consolato dopo la casuale lettura del criptico post di P. Maninchedda perché ho capito che si può essere in disaccordo ed avere poca stima sia dell’uno che dell’altro. Si campa bene.
Il fatto è che statisticamente, benché raramente, tutti diciamo qualcosa di giusto.
Anche a F.C. Casula capiterà ogni tanto di azzeccare qualcosa , magari l’ora oppure la cottura della pasta.
Tutt’ e due, Maninchedda e Casula, sono accomunati dall’esigenza di affermare un primato come per ripagarsi del torto d’essere venuti al mondo in Sardegna.
Come quel Trincas, sardista oristanese, tempra di martire, che nell’aula del consiglio provinciale non ha “festeggiato” per protesta i 150 anni.
Era, se non sbaglio, il sardo che per consolarsi d’essere nato consegnò la bandiera dei quattro mori a Berlusconi.
Così, alla fine, ho tirato un sospiro di sollievo perché al sardismo dei transfughi, preferisco l’ingenua teoria pediatrica del professor Casula, almeno lui è felice e mette allegria a grandi e piccini.
Rimango perplesso in queste ore nel leggere le varie posizioni su Casula, e mi viene una domanda: ma in un dannato libro di storia che tratta della Sardegna che diavolo si dovrebbe scrivere dal 1720 al 1861?
FORMALMENTE: Che il Regno d’Italia è stato l’evoluzione di quello di Sardegna?
SOSTANZIALMENTE: O che i Sardi non hanno fattivamente ed in massa partecipato al risorgimento?
Non pensate si dovrebbe riportare ENTRAMBE le cose piuttosto che accapigliarsi sulle conseguenze politiche del piano formale e sostanziale? Mi parrebbe un modo più serio di approcciarsi alla cosa.
Segnalo sul tema: http://www.sanatzione.eu/2011/03/quel-nazionalismo-non-nazionalista-di-chi-avversa-cesare-casula/
Mah…
Io mi sono parzialmente riappacificato con la tesi del Prof. Casula da quando ha detto (mi pare sul blog di Pintore) di essere uno storico-politico. Il problema non è quello di dire che “formalmente” il Regno d’Italia è stato l’evoluzione (o involuzione a seconda dei punti di vista) di quello di Sardegna , ma sta nel fatto che, secondo me, vi si pone un’enfasi esagerata.
Questa teoria la si presenta come una cosa rivoluzionaria che, se accettata e fatta propria (dai sardi? dai politici?) cambierebbe drammaticamente i rapporti tra Stato e Regione… è difficile far passare una cosa formale (e non sostanziale) come una scoperta rivoluzionaria e suscita spesso (magari pure ingenerosamente) delle reazioni che vanno dallo scherno al vero e proprio fastidio.
A quanto pare la destra rivendicazionista sarda si trova bene con questa tesi, ci va a nozze diciamo, e si gonfia il petto prorompendo in discorsi retorici in cui ce la infila (pure piuttosto male) per dire che i sardi sono più italiani degli italiani perché è solo grazie a loro se è nata l’Italia.
Comunque al Prof. Casula va riconosciuto uno studio profondo della Sardegna medievale, che prescinde dalla sua tesi politica.
Adriano, una delle conseguenze più spiacevoli è che per restituire dignità al regno di sardegna si arriva a celebrare la scomparsa dei regni sardi giudicali ad opera della potenza catalano aragonese che di quel regno era titolare. Quella che fu una pagina triste della nostra storia, che vide il popolo sardo soccombere al dominio di una potenza coloniale straniera, viene rappresentato dalla retorica italosarda di Casula fatta propria dalla Regione Sardegna, quale evento da celebrare in quanto porrebbe le basi della futura Italia. Italia che a mio modesto avviso si sarebbe potuta unificare comunque sotto una sola bandiera anche senza il titolo regio ricevuto dalla istituzione sarda. Ecco perchè non c’è nulla di sostanziale di cui menar vanto.
Osserva come in questo video viene rappresentata, anche graficamente, la sconfitta del regno autoctono, evento infausto che non andrebbe celebrato. Al di la di la del corso che poi prese la storia, di cui possiamo compiacerci o meno, i Sardi dovrebbero conservare memoria e commemorare il sacrificio di chi lottò e morì per un ideale di indipendenza e di libertà. Non meritano rispetto e celebrazioni solo i Sardi caduti per costruire l’Italia.
http://www.regione.sardegna.it/xml/getpage.php?cat=7875
… spesso si dice (con accenti da martiri) che esso [Regno di Sardegna, aragonese] sarebbe nato sulle spoglie dei quattro “giudicati”. Falso: quando nel 1324 viene completata la conquista catalano aragonese dei territori pisani in Sardegna, dei quattro “giudicati” tre erano finiti da tempo (per lotte intestine o sconfitti dai pisani: 1258 Calari, 1272 Torres, 1288 Gallura). Il quarto ed ultimo, il famoso e glorioso “giudicato” arborense, in quel 1324 era alleato dei catalano aragonesi, il suo re si era fatto loro vassallo!… di sua spontanea volontà, per avere un alleato con cui cacciare i pisani… Addirittura il re Ugone II ne sollecitò l’intervento armato…
Marco P., per favore, cerca, trascrivi e leggi i documenti, o studia chi l’ha già fatto. Eviterai di dire falsità storiche.
Giovanni Serreli
Mi preoccupo: in una botta sola almeno tre cose che mi accomunano nel gusto e nel merito a Paolo Maninchedda.
– Citazione fantozziana
– Citazione morettiana
– Status di ex studente di F.C. Casula
Cosa più importante, concordo con la sua tesi: questa pagliacciata dei meriti dei sardi per via della continuità formale tra regno di Sardegna e regno d’Italia non solo fa ridere il mondo, ma è anche parecchio offensiva verso i sardi stessi.
Intanto, a seguirne la logica, dovremmo concludere che l’attuale stato italiano è stato fondato sulla carta da Bonifacio VIII e di fatto dai catalani. Non è che a Barcellona cominceranno a reclamare qualche diritto?
Ovviamente i sardi in tutto ciò c’entrano poco e nulla (in questo senso Maninchedda parla di storia “sostanziale”, ossia non meramente “evenemenziale”).
Per giustificare l’italianità dei sardi, in questi giorni si sta producendo una tale mole di corbellerie e immondizia ideologica da dimostrare, proprio per questo, quanto poco convinti siamo, in fondo, di essere davvero italiani. Si tira in ballo la casa a Caprera di Garibaldi, persino: come se quello non fosse un luogo d’esilio. A quando la richiesta di essere naturalizzati francesi degli abitanti dell’isola d’Elba o di S. Elena? E vogliamo parlare di questo articolo di Manlio Brigaglia?
http://lanuovasardegna.gelocal.it/sardegna/2011/03/16/news/unita-d-italia-anche-l-isola-deve-far-festa-3697685
Valutiamolo laicamente, con obiettività: a parte la fallacia storica, metodologica e le castronerie che riporta, non è anche vagamente offensivo?
Nell’insieme, uno spettacolo penoso, insomma.
Evidentemente, è quello che ora ci meritiamo.
Omar Onnis – ProgReS
quoto ogni virgola
Aggiungo:
a me sembra che tutto il movimento indipendentista sardo si muova e si frantumi in mille pezzi e correnti esclusivamente per aver ciascuno la sua piccola piccolissima briciola di “potere”.
“Non vogliamo andare alle elezioni con lo stesso schema italiano con cui ci siamo andati l’ultima volta. Vogliamo andarci con uno schieramento che chiamiamo Partito dei Sardi. Noi siamo pronti, altri cincischiano.”
COME? perchè non si capisce.
Perchè a teorie auspicate una cosa, nei fatti avete dimostrato solo di muovervi segundo linee opportunistiche. Vorrei capire. Grazie
Riconosciomo a Casula almeno il merito che la sua tesi fa parlare della questone sarda!
Ma dove? In Sardegna? Sull’Unione Sarda?
Eia, ne fa parlare per renderla ancora più ridicola. Ma po praxeri
Anche i falsi di Arborea hanno fatto parlare della questione sarda: è un secolo e mezzo che chi studia storia in mezza Europa ne ride a crepapelle. Francamente è meglio un dignitoso silenzio.
Caro Vito,
capisco le tue perplessità che vengono da una radice del tuo impegno politico che conosco e apprezzo. Tu sai che larga parte della Costituzione repubblicana viene dalla Resistenza. Temi, perciò, che un’opposizione allo Stato fondato sulla Costituzione sia un attacco a quella esperienza e a quei valori, che oggi vedi minacciati soprattutto da Destra. Se questo livello fosse stato esplicitato nelle celebrazioni, noi ci saremo stati, perché sentiamo nostri i valori della Resistenza. Noi ci sentiamo “resistenti”. Ma le celebrazioni erano equivoche, celebrative di un’Unità molto discutibile. In più, il discorso apprezzatissimo del presidente della Repubblica ha fatto finta, ipocritamente, per non irritare la Lega e il Governo, di parlare di un federalismo positivo che non esiste nelle carte del Parlamento e del Governo. Il Capo dello Stato ha espresso un auspicio federalista solidale e ha ignorato un fatto federalista egoista. Continuo a pensare che questo stato italiano, partitocratico da sempre, egemonico da sempre, che guarda con sospetto alle libertà individuali e apprezza l’egemonia di gruppo, sia che si incardinino nell’Eni o in Finmeccanica, sia che si incardinino nella P3 o nella P4, sia che si incardinino in lobbies locali, questo Stato va rifondato. Bisogna eleggere una nuova Costituente e affrontare un tema strategico: affermare che la sovranità appartiene al Popolo italiano è un’astrazione che ha aperto la strada alle egemonie dei gruppi, delle burocrazie e di quanti altri. Tra il cittadino debole e il Popolo, astratto e forte, c’è la realtà dei popoli che da secoli vivono in rapporti con l’Italia. Bisognerebbe scrivere che la sovranità appartiene ai popoli che stringono un patto costituzionale tra di loro. Le cose cambierebbero, anche in Sardegna, dove non si è mai esercitata la responsabilità della sovranità perché le classi dirigenti (da Cocco Ortu a Cossiga) hanno delegato non solo la sovranità ma anche il dovere della guida dei sardi. Ne riparleremo. Sulla Giunta Cappellacci. L’ho detto al Pd, a SeL, all’UDC e ai Riformatori come pure ad ampi settori del PDL: noi lavoriamo a disarticolare il bipartitismo italiano. Cappellacci lo sa. Non vogliamo andare alle elezioni con lo stesso schema italiano con cui ci siamo andati l’ultima volta. Vogliamo andarci con uno schieramento che chiamiamo Partito dei Sardi. Noi siamo pronti, altri cincischiano.
tutto questo è molto bello, però il P.S.d’Az. ha contribuito alla nascita di questa Amministrazione Cappellacci, la sostiene, ha assessorati, presidenze di Commissioni consiliari, posti di governo e sottogoverno.
I risultati scadenti (per non dire altro) di questa Amministrazione regionale sono sotto gli occhi di tutti.
“Noi siamo pronti”. Siete pronti a che cosa?
Mi pare invece che siate ben inseriti in questo “governo” regionale, con la relativa parte di responsabilità.
… e infatti…
gei s’esti biu….
Ma po prexeri!
Giovanni Serreli
è che spesso ci manca la memoria storica….
“Dei suoi allievi di allora, molti sono oggi in cattedra. Nessuno si è fatto interprete delle sue teorie”.
Direi sbagliato: di suoi allievi ce n’è solo una a Sassari, non proprio sua fedelissima ma guarda caso cabrarese. Altri due per fortuna hanno fatto strada ma non all’Università. Tutti gli altri allievi sono stati gambizzati o dallo stesso barone o si sono eliminati in una patetica guerra fratricida. Mi sapete dire il nome di un medievista sardo under 40 o su di lì che oggi ha fatto carriera ed è sulla bocca della comunità scientifica internazionale?
Sinceramente non lo capisco bene. Leggo le critiche, molte e di opportunità, ma non posso giudicare se sono fondate perché nella sostanza l’unico appunto è che la teoria di Cesare Casula è “formale e non …. sostanziale”.
Un po’ vago, no?
No, no è la teoria che scientificamente è campata per aria, priva di ogni metodo scientifico degno di questo nome. Leggetevi l’abominevole “La terza via della Storia” per rendervene conto. Un libro che ha fatto ridere gli studiosi di mezza Europa, purtroppo.
Io ho apprezzato l’ invece, e parecchio, sia l’ assenza del PSDAZ che quella della Zuncheddu.
Le accuse di ‘leghismo’ sono semplicemente ridicole: da un punto di vista neutro, sarebbe a dire non condizionato dalla retorica patriottarda italiana, le negatività della Lega Nord risiedono nel suo background xenofobo, non certo nelle istanze di autodeterminazione. Questo non è altro che un sillogismo pedestre buono per gli sciocchi.
Riguardo l’ abbandono di Cappellacci al momento non credo che convenga al PSDAZ: da tempo (si guardi alle elezioni provinciali) è in corso un’ erosione non indifferente dell’ elettorato dell’ elettorato pidiellino in tandem con i Riformatori. Gli antiberlusconiani ferventi, come il sottoscritto, dovrebbero paradossalmente augurarsi che i sardisti rimangano dall’ altra parte del guado, tanto più che da soli non avrebbero i numeri per farlo cadere.
P.S. Non ho ancora imparato a sparare sulla croce rossa, quindi non mi esprimerò su FCC.