Bruno Meloni è un mio amico. Nella vita fa l’ingegnere, ma in realtà è sempre stato vicino al mondo del teatro: ha firmato molti allestimenti come scenografo, ma anche come drammaturgo e regista. Stamattina si aggirava come un cospirato all’Anfiteatro romano di Cagliari e, nel corso della manifestazione che ha rilanciato in grande stile la mobilitazione contro le gradinate, distribuiva ai presenti un volantino. Ecco il testo. Io mi ripropongo di rispondere alle sue argomentazioni (che non condivido) in sede di commento. Mi sembra però opportuno proporvele per animare il dibattito sul futuro del monumento.
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PERCHE’ SONO CONTRARIO ALLO SMANTELLAMENTO DELLE STRUTTURE LIGNEE DELL’ANFITEATRO ROMANO
Scriveva Italo Calvino nel 1985 (Lezioni americane, esattezza):…
Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.
Non mi interessa qui chiedermi se le origini di questa epidemia siano da ricercare nella politica, nell’ideologia, nell’uniformità burocratica, nell’omogeneizzazione dei mass-media, nella diffusione scolastica della media cultura. Quel che mi interessa sono le possibilità di salute…
Vorrei aggiungere che non è soltanto il linguaggio che mi sembra colpito da questa peste.
Anche le immagini, per esempio.
Sono passati 25 anni e siamo alla barbarie del “medioevo catodico”.
In questa temperie di persuasione più o meno subdola, di confusione fra merito e meretricio, di retorica sempre più vuota quanto più gridata e regredita al gutturalismo, non può che rafforzarsi un nuovo fascismo, svuotato di ogni valenza sociale, cui è funzionale lo svilimento della scuola, dell’università, della cultura. A iniziare dalle strutture, dai luoghi.
I teatri, per esempio.
A Cagliari, nel nostro piccolo.
Viene demolito l’Alfieri.
Il Teatro dell’Arco, quasi restaurato, è chiuso da anni.
Quattro anni fa, dopo venti di attività, è stato chiuso il Palazzo d’Inverno, nel silenzio.
Il Teatro Civico non ho ancora capito cosa sia.
L’Arena Giardino è diventata un palazzo.
Il teatro Massimo è stato diviso in Mass e Mino.
Il Due Palme è chiuso.
L’anno passato è stato fatto lo spettacolo “Oggi smontiamo l’Anfiteatro” e oggi si insiste.
Sono molto perplesso.
In Spagna, a Valenza, è in corso da anni una disputa simile sul restauro del teatro romano di Sagunto. A chi è contro, Giorgio Grassi, il progettista, risponde così:
“La demolizione costituisce un attacco contro l’indipendenza e la libertà del mondo della cultura. La demolizione è una vendetta politica che non ha nulla a che vedere con il dibattito architettonico. La demolizione è uno spreco e danneggia i cittadini e le arti sceniche. La demolizione è una dimostrazione di codardia intellettuale”.
Ora, io non utilizzerei gli stessi toni parlando del nostro Anfiteatro, perché l’intervento è discutibile, sia dal punto di vista squisitamente architettonico, sia da quello più generale del dibattito fra la rovina romantica, i limiti del restauro e il progetto di architettura ( a iniziare da Viollet-le -Duc e Ruskin). Anche se la cavea piena sino al terzo anello è di potente suggestione.
Ma non è di questo che oggi è importante parlare. Ma dell’Oggi.
Io sono contrario allo smantellamento delle strutture lignee, che rendono l’Anfiteatro un Teatro per 5000 spettatori, l’unico che abbiamo, perché non possiamo permettercelo.
Perché nell’Oggi, infausto e deculturalizzante che viviamo, non possiamo permetterci di demolire un teatro; perché, volendo essere polemico, Oggi, è meglio un teatro vivo che una rovina morta.
Perché, Oggi, un Teatro deve essere uno strumento o un arma di lotta nella Guerra (in senso poetico) Civile che ci attende. Perché smantellare le tribune è atto di luddismo piuttosto che di Resistenza.
Bruno Meloni
Che ve ne fate di un Teatro se siete incapaci? A ciascuno il proprio mestiere, e soprattutto evitate le grucce per la nerchia!
“screditare l’uso di parole intrinsecamente vuote, definire l’uso delle altre attraverso analisi precise,
un lavoro importante in un’epoca che sembra stia perdendo le nozioni essenziali dell’intelligenza
che sono la nozione di limite, di misura, di relazione, di responsabilità, di proporzionalità
tra mezzi e risultati”
Simone Weil
Pedantemente devo insistere sul valore delle parole, perché attraverso queste, riportate alla loro ricchezza originaria, è possibile un confronto dialettico, democratico (a chi piace).
Eretico è colui che sceglie, elegante colui che sa scegliere.
Barbaro è lo straniero, per quanto, non conoscendo la lingua, balbetta.
Fanatico, derivando da fanum, ‘tempio’, significherebbe propriamente “che riguarda il tempio” e quindi “ispirato da sacro furore”.
Dei tredici commenti, che ho letto, al mio intervento, quattro colgono la problematicità articolata,
nove sono decisamente contrari: sette non entrando nel merito arrivano all’insulto e solo due partecipano al confronto facendomi delle contestazione e chiedendomi delle risposte.
Rispondo.
Si parte dal punto di vista assoluto che l’anfiteatro sia monumento prima che teatro.
Si contesta che le tribune lo occultino e che per l’insipienza di chi le ha progettate, “senza uno studio e senza un rilievo”, mettano a repentaglio la vita stessa del monumento.
Vorrei vedere allora gli studi e le relazioni tecniche del sovrintendente archeologico che ha lanciato l’allarme, perché per quanto ho potuto vedere non ho riscontrato alcun segno di crisi statica né delle strutture nuove, né del delicato rapporto di queste con l’antico, ma neppure delle pietre.
È necessaria una manutenzione dei tavolati, come la dotazione di un sistema di drenaggio delle acque del bacino imbrifero che a valle storicamente consentivano le abluzioni dei gladiatori.
In altre occasioni mi son chiesto come fosse possibile affidare ai tecnici del comune progettazioni anche importanti senza che ci fosse stata alcuna valutazione, all’assunzione, delle loro capacità progettuali; ora li devo difendere: non è possibile progettare quelle strutture senza un meticoloso rilievo e uno studio approfondito, anche geologico, e con competenze strutturistiche importanti.
(La perfetta curvatura delle ellissi concentriche, la precisione degli appoggi…)
Chi afferma il contrario è in malafede. Posso dubitare che al comune qualcuno abbia tale sapienza ma qualcun altro mi ha detto che sarebbe stato coinvolto “per consulenza” lo studio di Renzo Piano.
Le tribune in legno occultano quelle in pietra, o, meglio, le schiacciano dal punto di vista compositivo o le mimetizzano, è vero, è indiscutibile, difatti ho già detto discutibile l’intervento.
È un problema insito nella richiesta del sovrintendente lirico d’allora : 5000 posti. E il cavallo di Troia fu la smontabilità.
Infine, il punto di partenza: essere o non essere, teatro?
Il Castello di San Michele, per esempio, è stato sovvertito nel rapporto pieno/vuoto, gli è stata modificata la destinazione d’uso, la vocazione, l’intervento è pesante e “brutto”, ma nessuno grida allo scandalo. Non voglio scomodare il genius loci ma se i romani hanno scavato lì l’anfiteatro è perché hanno letto in quel sito la convergenza di diverse opportunità e la sua vocazione a teatro.
E ancora oggi, nell’esaltazione delle tribune la suggestione è grande.
Una osservazione banalmente pragmatica: finché non ci saranno soldi per smantellare la sovrastruttura, è opportuno manutenerla, perché il degrado di questa porterebbe alla rovina della sottostante, un po’ come un tetto e la casa che copre.
“Quello che manca, magari, è il pubblico”. Questa è una battuta di grande superficialità.
Aldilà dei meriti della malfamata banda Palmas&Co che in trent’anni di attività, di sviluppo di un progetto culturale, dimostra che un pubblico esiste e lo coltiva, lo spettacolo “smontiamo l’anfiteatro” dove altro avrebbe potuto accogliere 1500 spettatori/manifestanti?
Il pubblico c’è e richiede spazi adeguati per lo spettacolo, non per far soldi ma per far cultura.
Finché non si farà fronte nel volere, nell’esigere, nel costruire un Teatro alternativo, penso che,
proprio per le valenze straordinarie che gli riconosciamo, l’Anfiteatro Romano funzionante sia il luogo emblema di resistenza culturale.
Così nell’estate del ’95, in mancanza di qualsiasi programmazione culturale comunale e vista la litigiosità dei gruppi, proposi ed effettuai, da libero cittadino, per due settimane, quotidianamente, la pulizia dell’Arena Giardino, come luogo emblematico dello spettacolo estivo cagliaritano. (L’Unione Sarda mi accusò di teppismo)
Alla giornata finale di spettacolo, effettivamente partecipò anche Vito.
Riguardo a “pere e mele”: io ho fatto un elenco oggettivo dei teatri chiusi sistematicamente negli ultimi anni, conoscendo perfettamente la diversità degli spazi (a parte aver lavorato in quasi tutti, il Palazzo d’Inverno fisicamente l’ho inventato io). Se con pere e mele vogliamo sottolineare tale disomogeneità sono d’accordo, ciò che trovo sconcertante è che chiusi sono incommestibili.
Se invece si vuol dire che faccio confusione rimango confuso, perché il fraintendimento, in uno scambio polemico, da aggio alla battuta sarcastica, a volte con compiacimento narcisistico, ma non entra nel merito. Con la stessa logica: Pompei, Barumini, il Colosseo (o Anfiteatro Flavio come correggerebbe qualcuno) cosa sarebbero? Zucchina, melanzana e cetriolo?
Discorso simile per Sagunto: là come qua, si tratta di discussione su interventi di progettazione su monumenti storici. Se, come mi vien detto, sono io a non voler comprendere, perché a Sagunto,
la mirabile opera dell’architetto Grassi viene altrettanto violentemente contestata?
Un’altra contestazione che mi vien mossa e che diviene contromotivazione forte è la compagnia (Pili, Sgarbi, Tremonti…). Intanto non ho partecipato alla manifestazione di segno contrario.
In questo Oggi dove evidentemente è così difficile essere laici penso sia un dovere di intelligenza essere eretici (senza velleità di provocazione) fra gli amici e non venduti alle opportunità. (comunista, per me, non è un offesa)
Letti alcuni dei commenti al mio intervento siete tutti così convinti delle vostre compagnie?
“Non è una novità che gli ingegneri capiscano bene di tubi e poco di beni culturali”
Io, neanche di tubi. Da più di venticinque anni progetto e dirigo i lavori di ristrutturazione di case, principalmente in centro storico, avendo una concezione del mio lavoro come professione “artigianale”. Ho curato allestimenti per mostre e musei e, dimenticavo, ho partecipato alla progettazione dell’Arca del Tempo a Settimo San Pietro, centro espositivo-didattico e laboratorio di archeologia. Posso capire che nell’immaginario collettivo l’ingegnere appaia più triste se non ottuso, che so, dell’architetto, ma quale categoria è abilitata a capire di beni culturali?
Chiedo di rispondere al collega Vincenzo Tiana.
Esempio di provocazione: siccome in uno stadio si gioca solo 15 domeniche all’anno non facciamo gli stadi.
“Ci serve quindi uno spazio polivalente per i grandi eventi! Ci serve un’arena da 5000 posti che ci permetta di ospitare produzioni prestigiose. Una città come Cagliari non può più prescinderne. Occorre chiederlo e pretenderlo con forza ai prossimi amministratori. Subito!
Del resto, l’idea di dotare la città di uno spazio di questo tipo esiste da decenni. Lo studio De Eccher, commissionato dalla giunta Delogu, la individuava nell’area di Sant’Elia…” (Marco P)
“Fino a quando non ci sarà un altro spazio come quello, e quindi fruibile e disponibile, magari piu’ comodo dei perdigoni dove ci si deve sedere ora in alcuni casi, io non priverei la città dell’attuale anfiteatro.” (Alessandro Alfonso)
Così la penso anch’io.
Nei primi anni novanta, ho progettato per la Provincia (e ne sono stato pagato) sull’area di Monteclaro. Nel 1900 l’ing. Stanislao Palomba , nella relazione di progetto del nuovo manicomio, raccontava che la villa stava sul ciglio di una cava con un “a picco”di 15 metri. Cava romana, che, probabilmente, dava il nome al monte. Nella prima tavola, il piano topografico dell’area, un rilievo meticoloso del lotto, si rappresentava la villa, la cava, le strade e i sentieri e tutte le piante distinte:
pini, ulivi, mandorli…e i filari delle viti. Questi però, orientati secondo il maestrale, risultavano storti rispetto alla struttura viaria rigorosamente ortogonale. Le viti erano evidentemente posteriori alle strade. Ma tutta la zona, dal medioevo, aveva destinazione vitivinicola, lo testimoniavano la chiesa di Santa Maria ad vineas e la distilleria Zedda-Piras, nonché il toponimo ricorrente “bingia”. Quindi le tracce erano romane.
Da una analisi delle geometrie si evinceva un disegno di impianto basato sulla sezione aurea.
Su queste tracce progettammo (non ero solo, ma non farò il nome dei complici).
Nella cava si progettò un teatro per 5000 posti.
Recentemente il nuovo parco ha cancellato tutto, ma, prima, quando venne demolito lo stabilimento della birreria Ichnusa, le macerie vennero conferite alla cava, a colmarla. (chi autorizzò ?)
Al posto della birreria sorse la grigia residenza chiamata Anfiteatro.
In ultimo, so di non dover rispondere a paolo m. e allora gli faccio una domanda, secondo la sua logica: con chi sei fidanzato? Con la Mongiu? (Maria Antonietta, scusami)
Lo ringrazio del termine compagna, che è la persona con cui si condivide il pane.
Bruno Meloni
Caro Bruno,
l’Anfiteatro è anche un monumento e un luogo per chi osserva il passato attraverso le pietre, non solo un luogo funzionale per le rappresentazioni teatrali. Il teatro non è tutto, e per molti contano anche altre cose. Per esempio, opporsi a un uso dei luoghi che tenga in considerazione solo gli interessi di chi fa teatro e non quelli di chi non è troppo interessato alla faccenda ma magari nella sua vita ne ha elaborati altri. Per le rappresentazioni teatrali, mi sembra che vi siano tantissimi altri luoghi. Quello che manca, magari, è il pubblico.
I luoghi della nostra storia sono talmente bistrattati e ignorati che accettare che anche l’Anfiteatro romano di Cagliari venga usato “per fare soldi”, direbbe Tremonti, è un po’ irresponsabile.
Poi sul fatto che viviamo in un Medioevo catodico e che l’Oggi sia orribile, ho tanti dubbi, ma non mi voglio appesantire.
Caro Bruno,
apprezzo sempre il tuo modo di argomentare e le suggestioni colte che offri, ma mi sembra che stavolta tu mischi pere con mele.
Partiamo dalla questione degli spazi culturali a Cagliari e dalla loro chiusura.
La demolizione dell’Alfieri è stata ampiamente compensata dall’apertura del Teatro Massimo (anche se diviso tra Mass e Mino è pur sempre un teatro funzionante e a disposizione, e certamente migliore dell’Alfieri per comodità e dotazioni tecniche).
L’Arena Giardino sarà anche diventata un palazzo (e ricordo l’iniziativa che organizzammo assieme negli anni ’90) ma se non ricordo male già 40 anni fa non era più un luogo di spettacolo.
Idem il Due Palme, che prima della chiusura è stato un cinema (e oggi le sale non mancano) e che immagino che verrà recuperato insieme a tutta l’Ex Manifattura.
Sul Teatro Civico concordo pienamente, ma si tratta in ogni caso di uno spazio agibile e a disposizione, laddove prima c’erano macerie (e ricorderai il video finale di Election Day, il mio spettacolo che si apriva con le tue immagini della distruzione di Stampace).
Il Teatro dell’Arco mi è caro, e tu lo sai, ma era una sala da meno di cento posti, cioè con caratteristiche che lo rendevano fruibile per spettacoli diversi da quelli che si tengono all’Anfiteatro. Se resta chiuso è per gli stessi motivi che hanno portato alla morte del Teatro d’Inverno: perché a Cagliari da anni non c’è una politica culturale degna di questo nome, se non quella appiattita sui grandi eventi di Palmas & Co, che hanno trovato proprio all’Anfiteatro romano il loro epicentro.
Per questo paragonare l’Anfiteatro agli spazi che tu elenchi è mischiare pere con mele. Perché la vocazione culturale preminente dell’Anfiteatro è legata al suo essere innanzitutto monumento: la sua disponibilità ad accogliere spettacoli deve fare i conti con le esigenze di tutela.
Per cui anche tu, caro Bruno, tendi a fare i conti senza l’oste. Se il sovrintendente archeologico dice che il monumento è in grave sofferenza e che le gradinate vanno smontate, cosa gli rispondi? Che è comunista? Che ce l’ha con Palmas? Non puoi non rispondere a questa domanda. Questo è il famoso Oggi che tu evochi.
Davanti alla mancata risposta ad una domanda che non ti poni (e dovrebbe essere la prima domanda da porsi), lanciare provocazioni come fai tu è uno sterile esercizio di stile.
Dire che un teatro vivo è meglio di rovine morte è, perdomani, una stupidaggine alla Sgarbi. Le rovine sono morte solo per chi le vede morte. Pompei secondo te è morta? Il Colosseo è morto? Barumini è morto? Tu pensi che questi monumenti vivono solamente se vengono agiti dall’uomo contemporaneo? Sai chi dice queste cose? Mauro Pili, secondo cui per i beni culturali vale ciò che vale per la natura, che ha un senso solo se l’uomo ne fa un qualche uso (l’ha detto domenica sera proprio all’Anfiteatro, l’ho sentito io con le mie orecchie).
Quanto al restauro del Teatro di Sagunto, incorri in una grave inesattezza che mi conferma nell’idea che tu non sappia o non voglia leggere correttamente la natura del nostro Anfiteatro romano.
A Sagunto infatti è stato operato un intervento di ricostruzione molto bello del teatro, cioè sono state aggiunte (diciamo volgarmente) le parti mancanti, e con la realizzazione di un muro (perdonami la brutalità) si è ridato senso allo spazio scenico del palco.
A Cagliari invece è avvenuto esattamente il contrario! Anche senza entrare nella qualità progettuale ed estetica dei due interventi (il primo preceduto da studi seri e firmato da Giorgio Grassi, il secondo operato in un monumento che non è mai stato studiato e realizzato nientemeno che dagli insigni tecnici del nostro Comune), a Cagliari l’Anfiteatro romano è stato stravolto, perché è stata completamente nascosta l’arena (che nell’antichità era il centro dell’azione) ed è stato realizzato un palco che non è mai esitito! Proprio il contrario dell’impostazione adottata Sagunto!
Per questo i due interventi sono opposti per senso e risultato. Ed è per questo che ci possiamo tranquillamente permettere il lusso di smontare tutto. Oppure non esistono altre arene per spettacoli da cinquemila posti in Italia? Mango canta solo negli antichi monumenti? Non scherziamo. E soprattutto non mischiamo pere con mele, caro Bruno. Da qualche parte anche Calvino lo deve aver detto.
Con la solita immutata e immutabile stima e amicizia
Vito
La preoccupazione primaria di tutti verso l’Anfiteatro deve essere senza ombra di dubbi la questione sicurezza.
O si smantella l’impalcatura, oppure, se i vari enti competenti dovessero decidere di mantenerla, diventa imperativo mettere in sicurezza sia la struttura lignea sia, necessariamente, la pietra sottostante.
Ferma restando, quindi, la questione sicurezza in tutti i suoi aspetti, compresi quelli riguardanti la tutela dell’archeologia del monumento, il resto è a mio parere una questione ideologica.
In tutti questi anni passati abbiamo partecipato a concerti e spettacoli ignari dei danni che le strutture, sulle quali abbiamo camminato e ci siamo seduti, stavano causando al monumento Anfiteatro.
Ben consapevoli, invece, siamo stati del fatto che quegli spettacoli, ai quali abbiamo partecipato in centinaia di migliaia, fossero all’interno di un monumento storico e che, in virtù di questo, quelli spettacoli avessero il valore aggiunto dato proprio dalla suggestione del luogo.
Ora, a scanso di facili ipocrisie, a meno che non si voglia fare un referendum popolare sulla questione, io penso che i numeri di pubblico di questi anni, limitato solo dal crescente prezzo dei biglietti, diano da soli la risposta sul gradimento dello spazio Anfiteatro ai fini teatrali e di spettacolo.
Io non sono un ferreo sostenitore della “legnaia”, tanto meno se questa è colpevole dei danni causati al monumento Anfiteatro, però ho molti dubbi che la godibilità che questo spazio ci ha offerto in tutti questi anni non abbia niente a che fare con la sua valorizzazione, e che il suo uso come teatro non rappresenti un modo altrettanto valido per dare vitalità ed evidenza a questo sito.
Cagliari, per fortuna, è una città che offre possibilità a varie soluzioni per nuovi spazi teatrali recuperando anche la suggestione dei luoghi e degli scenari naturali; tutto ovviamente se fatto bene! ma nel frattempo perché non interrogarsi con serietà, senza banalizzazioni sui titoli o sulle parentele, sulla affermazione di Bruno Meloni se “Oggi, è meglio un teatro vivo che una rovina morta”?
il punto comunque non lo vedete proprio. per 3 mesi di programmazione state privando la citta di 12 mesi di un monumento storico irripetibile.. La miopia è scandalosa!
Ogni anno assistiamo alla querelle tra chi vorrebbe liberare l’anfiteatro e chi, operatori e fruitori, lamentano, anch’essi a ragione, l’esigenza di uno spazio capiente e di livello per ospitare le produzioni estive e chiedono il mantenimento delle sovrastrutture lignee (non mi è mai piaciuto l’abusato “legnaia” proprio per il rispetto che porto per i luoghi comunque investiti di funzioni culturali ).
Sappiamo che il superamento dello status quo è ostacolato dalla obiettiva mancanza di un valido spazio alternativo per gli spettacoli estivi, o perlomeno per un certo tipo di produzioni. Questo ovviamente è assunto quale pretesto dai pochi che traggono vantaggio dalla situazione attuale e se ne guardano bene dall’operarsi per un’alternativa che interromperebbe questo circuito.
Ma tutti gli altri? Mi piacerebbe che energie pari a quelle profuse per i vari “Smontiamo subito!” e “Non se ne parla, ci serve un teatro!”, fossero spese per fare pressioni sulla politica affinchè si mobilitasse in tal senso, anche attraverso un dibattito pubblico che suggerisse possibili interventi. Iniziamo col convenire su un punto: il sito dell’ ‘anfiteatro potrà essere ancora utilizzato per eventi teatrali, con tribune montate magari sul lato opposto, ma mai più per spettacoli con con quelle dimensioni di pubblico e di impatto sonoro.
Ci serve quindi uno spazio polivalente per i grandi eventi! Ci serve un’arena da 5000 posti che ci permetta di ospitare produzioni prestigiose. Una città come Cagliari non può più prescinederne. Occorre chiederlo e pretenderlo con forza ai prossimi amministratori. Subito!
Del resto, l’idea di dotare la città di uno spazio di questo tipo esiste da decenni. Lo studio De Eccher, commissionato dalla giunta Delogu, la individuava nell’area di Sant’Elia:
http://www.studiodeeccher.it/SITO%20%201024%20X%20768/PAGINE%20PROGETTI/cagliari%20WATERFRONT/PROSP%20GENERALE%20copy.jpg
Eppure nulla è stato fatto e nulla è in programma.. La responsabilità in capo all’amministraione di non essersi spesa per uno spazio di questo tipo è pari e va di pari passo col mantenimento delle tribune sull’anfiteatro.
Ma sapete che succederà? se Cellino riuscirà sul serio a costruire il suo stadio a Elmas, offrirà con grande piacere e vantaggio personale l’impianto per le stagioni estive di spettacolo e questo diverrà il nuovo pretesto per non dotare la città di Cagliari di un valido spazio pubblico alternativo alla fiera e all’anfiteatro… A me non sta affatto bene!
La mattinata all’anfiteatro nell’ambito della giornata “Abbracciamo la cultura” è stata istruttiva per tanti motivi. Non avevo mai visitato i sotterranei scavati nella roccia. Non avevo mai visto la taverna con i resti dei dipinti alle pareti. Non avevo mai visto così da vicino e alla luce del giorno le sovrastutture del teatro. Io non sono una esperta di statica, ma a vedere le condizioni di quel legno…. paura! Ho visto dove è arrivata l’acqua che ha allagato tutti i sottopassaggi durante la famosa alluvione del 2008. Ho visto su quali zoccoletti di calcare poggiano alcune poderose strutture di sostegno di diverse tribune che dovrebbero sopportare il peso del legname e del pubblico. No, senza scherzi, qualcuno controlla periodicamente che siano rispettati i parametri di sicurezza? A parte tutto, quando iniziamo a smantellare?
mi risulta che l’attuale compagna dell’ingegnere faccia parte di sardegna concerti per cui mi sembra evidente che abbia interesse a non far smantellare l’anfiteatro
Mi sembra che non si debba per forza avvilire tutto e sempre a questioncelle personali.
Bruno Meloni ha una sua idea -e io non sono d’accordo nemmeno un po’- ma non mi sogno di contestare la sua buonafede. Pone degli interrogativi e espone argomenti, parliamo di quelli e non di crastulate.
Tra l’altro credo che anche Sardegna Concerti troverebbe di sicuro un’altra sistemazione.
“Domenica partecipa alla manifestazione per utilizzare l’Anfiteatro per gli spettacoli
Ti aspettiamo alle ore 20-00 all’Anfiteatro Romano con torce e candele”. Inmvito contenuto in una email. Prova ad indovinare da dove è partita?
Ma i tavoloni sono trattati anche con sostanze ignifughe?
Altrimenti le torce e le candele potrebbero tornare utili.
Non è una novità che gli ingegneri capiscano bene di tubi e poco di beni culturali.
E non c’è molto da rispondere a Meloni: l’unica risposta l’ha già data da sé all’inizio, dicendo che i teatri di cui Cagliari dispone sono chiusi.
Se si vuole “una struttura viva”, fatta di una scena e di posti a sedere, basta tenere aperti quelli esistenti. Non è giusto farlo a spese di un fragilissimo monumento archeologico, che viene coperto e soffocato e perciò stesso annullato nel suo valore di testimone della Storia (e che testimone: non una cava o una miniera, ma uno dei rari luoghi dove nella nostra sventurata isola in età romana si faceva cultura e si assaporava il gusto dell’arte!).
Anche un bambino capisce che se si usa ancora l’anfiteatro in questo modo per qualche anno non ne resterà più nulla.
veramente, allora a questo punto facciamo intervenire anche i manovali e i carpentieri per sentire cosa ne pensano dell’anfiteatro (con tutto il rispetto per manovali e carpentieri).
ma perchè non provare a sentire l’opinione di un archeologo per esempio? magari ci dice cose interessanti, ma forse è un parere un pò troppo scontato. Perchè continuare a pensare che tutto debba pagare l’anfiteatro romano per la sete di cultura di questa città? uno spettacolo culturale, un concerto, una stagione estiva di programmazione in cambio della cancellazione permanente di un monumento storico ineguagliabile.. e quando finisce la stagione cosa rimane? o meglio cosa rimarrà?
Sulla questione anfiteatro, pur essendomi fermato piu’ volte a pensare su cosa fosse meglio o peggio, smontare gli spalti e restituire il bene archeologico alla comunità e alla fruibilità (anche turistica), oppure lasciarli e dare all’anfiteatro la sua vera missione, renderlo ancora vivo secoli e secoli dopo come strumento per la diffusione delle arti, non sono mai riuscito a trovare la quaglia. Quando sono andato, e ci sono andato spesso, a spettacoli all’anfiteatro, il posto mi ha sempre dato una suggestione e un clima molto bello, a prescindere dalla qualità dello spettacolo. Quando penso ai processi mentali che hanno portato alla costruzione della legnaia, a tutto quello che c’e’ stato dietro in termini di interessi (privati) e profondo disinteresse (pubblico), andrei a smontarlo da solo.
Alla fine ho trovato la chiusura del cerchio, che un po’ richiama quello che dice questo commento.
Penso che prima si dovrebbe individuare e mettere in piedi una soluzione alternativa all’anfiteatro romano, magari esattamente dall’altra parte, dove ora c’è il piccolo stabile con spogliatoi e locali per l’attesa degli artisti, e poi demolire la legnaia. Fino a quando non ci sarà un altro spazio come quello, e quindi fruibile e disponibile, magari piu’ comodo dei perdigoni dove ci si deve sedere ora in alcuni casi, io non priverei la città dell’attuale anfiteatro.