Andiamo oltre. Se non è la Congregazione del Santissimo Sacramento ad aver suggerito la defenestrazione del parroco, forse qualche ragione la si può trovare nella o nelle lettere spedite dalla Marina in Vaticano, per denunciare abusi veri o presunti dell’arcivescovo nel disbrigo del suo compito di capo della Chiesa diocesana. E’ così?
«Anche su questo punto, l’imprecisione delle cronache di stampa ha portato, giorno dopo giorno, a equivocare, a rovesciare le precedenze confondendo cause ed effetti. Per quanto io sappia – e credo di sapere almeno questo – il primo tempo di quella interlocuzione fra Cagliari ed i vertici delle Congregazioni della curia vaticana nonché i vertici – presidenza e segreteria generale – della Conferenza Episcopale Italiana è da individuarsi nella vicenda di un giovane chierico, diacono da alcuni anni, al quale l’arcivescovo negava allora, ed ha ribadito di voler negare ancora di recente, la ordinazione…».
A causa della denuncia di un prete romano perché gay?
«Per nulla. E preciso che quanto so e riferisco mi viene da fonti certe, accreditate, di elevata responsabilità ecclesiale. Mettiamola così: fin quasi dal suo arrivo fra noi come arcivescovo metropolita, don Giuseppe ha progressivamente accentuato la politica della migrazione dei nostri chierici – cioè degli studenti di filosofia e teologia, cinque anni più uno di specializzazione – dal Seminario regionale alle università romane: la Gregoriana, la Lateranense, l’Urbaniana, ecc. Insomma, questi studenti – 20-25enni circa – venivano costretti a lasciare la sede cagliaritana della loro formazione al sacerdozio ministeriale per “sprovincializzarsi” nella città eterna. Dovevano lasciare professori e colleghi, amici e coetanei a loro volta provenienti dai seminari minori delle altre diocesi dell’Isola, qualificata “regione ecclesiastica o conciliare”. Dovevano lasciare i corsi della Facoltà teologica del Sacro Cuore – quella di via Sanjust –, a direzione gesuitica (così dai tempi del Seminario di Cuglieri, cioè dal 1927), per respirare da subito la universalità degli ambienti accademici, delle basiliche e delle parrocchie romane».
E tutti hanno ubbidito?
«Ebbene, se tutti obbedirono passivamente, magari mordendo il freno (per mille problemi che uno può anche non rivelare agli altri), non mancò il necessario, benedetto “Pierino” che rispose no. Così alla fine del secondo anno del suo corso superiore, nel 2004. Non fu facile tenere testa a un successore degli apostoli tutto compreso delle sue funzioni, pretenzioso – sia detto con rispetto – ed esigente. C’erano motivi, naturalmente, e anche molto seri, per dire di no, ma non furono apprezzati. Alla fine del quinto anno, dopo la discussione della tesi di baccellierato, in vista della specializzazione, la disponibilità del chierico, invece, venne».
Quindi partì?
«Egli si trasferì nella canonica di una parrocchia segnalata dall’arcivescovo, e prese a studiare al Sant’Anselmo. Gli capitò addirittura, alcuni mesi dopo, di partecipare alle letture della messa di capodanno del pontefice. L’unico ricordo gradevole di quella esperienza romana, mi sembra. Nella parrocchia, il nostro chierico naturalmente serviva all’altare e nella comunità per quello che era il suo rango diaconale, in attesa del sacerdozio. Che continuò a non venire. E che anzi si allontanò anche come prospettiva quando, nella primavera del 2008, accadde l’episodio (con preannunci vari che adesso non è il caso di richiamare) che dilaniò completamente il rapporto con l’arcivescovo, dando origine a tutto quanto è venuto lungo addirittura un biennio e passa!».
E cioè?
«E cioè, l’intimo e profondo disagio per avere assistito, occasionalmente, casualmente, a un episodio di sesso improprio, o due volte improprio: per lo stato clericale di uno dei protagonisti, e per la minorità della condizione soggettiva dell’altro. Ciò indusse il nostro giovane chierico a confidarsi con il vescovo di settore – dico del settore territoriale di Roma includente la parrocchia interessata –, nonché, appena possibile, a Cagliari, con il proprio direttore spirituale – un padre mercedario –, e con un nostro anziano vescovo sardo di grande esperienza. E se il primo intervenne immediatamente con la giusta rampogna a chi se l’era meritata, gli ultimi due consigliarono invece al nostro non tanto di denunciare alcuno, ma di “segnalare” il proprio turbamento, e la ragione del turbamento, al cardinale vicario, superiore gerarchico di quel sacerdote rivelatosi, in quella notte del mercoledì santo 2008, nella caduta plateale ed umiliante. Una caduta accertatasi poi non essere l’unica, ma essere anzi di routine».
Addirittura?
«Dico questo senza ombra di giudizio morale sulla persona invischiata. Il giudizio morale sale per la macchinazione che da lì si è costruita per depistare e mutare, diciamo così, il carnefice in vittima, e la vittima in carnefice…».
Andiamo per gradi. Il passo successivo quale è stato?
«Dunque partì una lettera riservatissima al cardinale vicario generale del papa per la diocesi di Roma. Non subito, però. Questo avvenne, dopo lunga ulteriore riflessione, nel maggio 2009, cioè ad un anno e più dall’episodio. Il che fa pensare a quanta delicatezza e prudenza si sia ispirato il nostro chierico prima del gran passo, che per lui era diventato ormai una incontenibile urgenza di coscienza. Intanto però è da dire che l’arcivescovo di Cagliari – che del “reo” è stato, in anni lontani, superiore come rettore del Seminario romano, e che in anni recenti, l’ha avuto ospite più volte, anche come relatore a convegni del clero! – era stato informato della cosa, e non l’aveva presa bene. No, non l’aveva presa bene».
In che senso?
«Mi riferisco alla segnalazione, non… al delitto. Non aggiungo adesso particolari, che aumenterebbero i colori scuri e foschi, amorali e immorali, di questa storia, e porrebbero nuovi problemi anche a molte anime belle della nostra diocesi. Tanto più oggi che le parole del pontefice riguardo alla pedofilia – e che per estensione investono anche quest’altra casistica – sembrano imporre un recupero assoluto di moralità privata, di austerità di vita, di decenza e dignità personale di preti e vescovi che liberamente hanno promesso di riempire il loro celibato di donazione, non di frustrazioni ed abusi. Quel che è avvenuto dopo è da ricostruirsi a partire dalla comunicazione formale, dal Vicariato di Roma a Cagliari, in persona del suo capo, perché superiore gerarchico del chierico. Di qui la guerra a più forti toni: mai e poi mai ti ordinerò prete, se prima non ritratti le accuse».
Un atto di prepotenza che si può chiamare “ricatto”?
«Non occorre usare parole forti, perché i fatti sono in se stessi forti abbastanza e rendono la drammaticità ma anche, insieme, un certo tono di surrealtà all’accaduto. Perché intanto è da dire che il 27 febbraio 2010 la Congregazione del Clero, competente anche sui diaconi in quanto ordinati, scrive all’arcivescovo di qui (e naturalmente all’interessato) invitandolo a procedere quanto prima (“nel prossimo turno”) all’ordinazione presbiterale. Potrei aggiungere anche stavolta qualche cenno di contorno, d’ambiente, non banale però, crudele anzi, ma per adesso si può tralasciare. Come fare a permanere dunque in una situazione che si presenta sempre più pesante per il prete romano, e sembra sbloccarsi positivamente per il giovane diacono? Ecco dunque la necessità di rafforzare l’intervento pressore ed ottenere da quest’ultimo la ormai più volte sollecitata ritrattazione. Anche perché – pennello adesso colori romani non cagliaritani – la ritrattazione potrebbe a sua volta sbloccare la promozione vescovile, ormai alle viste, dell’ “imputato”…».
In cosa è consistito, concretamente, l’episodio oggetto di quella segnalazione che si chiedeva quindi di ritrattare?
«Beh, non è che non se ne sia parlato. S’è parlato di un giovane dell’est europeo, ospitato nella casa parrocchiale da lungo tempo, piegatosi alle voglie incontrollate di un prete dal bisogno di spedire qualche soldo alla famiglia. Nessuno di noi è giudice morale – lo voglio ripetere –, io meno di tutti. E anzi ho una visione inclusiva di ogni realtà umana con i propri limiti, direi anche con i propri peccati. Resta invece inaccettabile la doppia morale, resta inaccettabile la prepotenza – cioè l’approfittarsi del bisogno altrui –, resta inaccettabile fare spallucce alla responsabilità propria dello stato clericale, resta ancor più inaccettabile che si monti un processo per diffamazione al fine di zittire chi, non potendo interloquire con il diretto interessato dato il clima relazionale in quella casa – paura e silenzi –, ha creduto in coscienza di doverne parlarne con l’autorità apostolica preposta. Oltretutto una diffamazione – io credo fermamente a quanto riferito dall’interessato – costruita artificiosamente. Come poi si possa, da chi macchina questo retrobottega, dire messa mattina e sera io non so, non me ne capacito davvero».
E dunque è finalmente partita una lettera da Cagliari al Vaticano per avvertire che quel processo era tutto un imbroglio, una macchinazione per screditare l’accusatore. Chi ha materialmente provveduto, e a chi si è indirizzato nella Curia romana?
«A fine maggio in diversi che per diverse vie erano stati informati della vicenda, ci si è incontrati. Va detto che la sensibilità ecclesiologica – il modo di sentire la Chiesa, la liturgia, i sacramenti, i testi del Concilio Vaticano II, ecc. – del chierico vittima del sopruso e quella di chi del suo caso si era interessato sono forse molto distanti. Piuttosto tradizionalista il giovane, piuttosto conciliari e avanzati in materia sinodale e ecumenica, ecc. gli altri, di lui ben più anziani (neppure essi però costituiscono un blocco monolitico: perché se alcuni fanno riferimento al movimento internazionale di “Noi siamo Chiesa”, altri avvertono un maggior interesse alle elaborazioni religiose della nostra cultura etnica, altri ancora si professano credenti liberali della scuola del Manzoni, per intenderci, cui anche Cossiga diceva di rifarsi, ecc.)».
Quindi?
«Raccolta la documentazione, il 2 giugno ci si incontrò per la stesura finale, più volte aggiustata e integrata, e si firmò in sette. La lettera era una “riservata personale” ai responsabili apicali alcuni uffici della Curia romana. Si doveva inquadrare la questione del diacono all’interno di un cattivo governo pastorale – questo fu il giudizio, e io concordo ancora pienamente con quel giudizio che naturalmente resta soggettivo ed opinabile – e debbo dire che seppure tardò la risposta ufficiale, da relazioni personali con vari addetti delle Congregazioni e del Vicariato vennero soltanto conferme: come se Roma sapesse del governo pastorale cagliaritano tutto, e comunque molto più di quanto sapessero i critici locali».
E’ possibile approfondire questo punto?
«Venne fuori che quello che don Giuseppe qui ha sempre sostenuto nelle conversazioni occasionali ed informali, e cioè che egli era in rapporti strettissimi con ogni ganglio della struttura curiale sicché – a detta di testimoni, fra i quali avverto io non sono – gli veniva facile fare e disfare, aveva ed ha, o avrebbe, un fondamento reale e solido: si chiama fondo Gerini Torlonia».
Cioè?
«Secondo queste fonti vaticane, la forza negoziale di don Giuseppe con le Congregazioni deriverebbe dall’essere egli fiduciario – non saprei certamente in quale forma – di questo fondo patrimoniale ingentissimo costituito presso lo IOR, il quale avrebbe come scopo statutario la provvisione di edifici sacri alla Chiesa. I Torlonia, e i Gerini Torlonia, si sa, hanno avuto una grande storia, a Roma, già dai tempi dello Stato pontificio: ricchissimi latifondisti ancor di più si arricchirono dopo il trasferimento della capitale da Firenze a Roma, fra il 1870 ed il 1871, perché allora Roma cominciò a diventare un enorme cantiere. Si dovevano costruire le case per le burocrazie ministeriali. V’è molta letteratura sull’argomento. Appartenevano alla cosiddetta “nobiltà nera” – e neri erano anche politicamente, prima sul versante clericale-papalino, poi su quello fascista – e nei processi storici verso la modernità riformularono gli assetti delle loro società anonime. Ci fu anche molta, molta generosità nei confronti della Chiesa in generale e delle famiglie religiose in particolare – si potrebbero citare i salesiani – con donazione di terreni e così via. Ecco, quello che a Roma, nelle Congregazioni, si sostiene come cosa nota, non segreta, è che nel novero degli ecclesiastici di rango chiamati, non saprei come, a pilotare il business vi fosse, vi sia, e non certo da oggi, anche l’arcivescovo di Cagliari».
Cosa c’è di male però in tutto questo?
«In sé la cosa non è malvagia, potrebbe anzi essere anche virtuosa, ove l’ispirazione e la tecnica del decidere e del fare non siano quelle dell’arcivescovo Marcinkus, quali si mostrarono al tempo delle oscure vicende dello IOR e del fallimento del Banco Ambrosiano di Calvi, e al tempo anche di quella oscura gestione protrattasi per altri vent’anni, come Gianluigi Nuzzi l’ha raccontata nel libro “Vaticano spa”. Il secondo aspetto investe direttamente il potere che, ecclesiastico o meno, viene da chi governa il capitale. Certo, se fossi io a manovrare cento miliardi di euro o di dollari potrei spendere la mia forza negoziale in molti campi, iniziando dalle carriere mia e degli amici».
Ma è stato possibile accertare la veridicità di questa voce?
«Nessuno avrà prove, né io sono interessato a procacciarmele e a diffonderle. Per questo ci sono altri, con professionalità specialistiche, anche di giornalismo d’inchiesta. Per quanto mi riguarda l’ho chiesto per iscritto all’interessato, correttamente credo, ma senza risultato. La mia posizione è rispettosa: si dice questo di te, e poiché il tuo ufficio apostolico ne può subire nocumento, né tu puoi permetterlo, anticipa tutti ed esci allo scoperto smentendo sul tuo onore oppure precisando. Tutto per la chiarezza. Perché so bene che inventarsi le storie o calunniare il prossimo è facile, e quando capita è gioco sempre sporco. Ma gli uomini che portano responsabilità collettive e addirittura impersonano uffici spirituali che sono soltanto da onorare, hanno il dovere, secondo me, di non lasciare adito a dubbi. Se non si fa questo, saremo costretti a un andreottismo morale che smidolla definitivamente, con la nostra democrazia – e i segni si vedono – , pure la nostra Chiesa. Anche se poi, a distanza di anni, si invoca perdono. Com’è successo anche pochi giorni fa con la canonizzazione di suor Mac Killop, la religiosa suora australiana scomunicata dal suo vescovo fino al giorno della morte, per aver denunciato un prete pedofilo. Storia di un secolo fa. Ancora una volta: niente di nuovo sotto il sole».
Nessuna sorpresa, perciò, se il Vaticano non ha preso molto sul serio le segnalazioni critiche partite da Cagliari?
«Intanto non direi che “non ha preso molto sul serio”, perché così non è. Uno dei dicasteri, che ben conosce i fatti cagliaritani – quello del diacono e altri –, ha risposto subito, ma non era quella la sede istituzionale direttamente competente. Lo si è interessato perché il suo prefetto conosceva nel dettaglio, diciamo così, uomini e cose. E la Congregazione del Clero, interessata nuovamente il 10 agosto, ha comunicato di essersi “attenzionata”, tant’è che ha richiesto tutta una serie di precisazioni sulle materie evidenziate in ordine agli aspetti del governo diocesano che avevano riferimento alla propria missione: il caso della parrocchia di Sant’Eulalia con la rimozione del parroco, di fatto accusato – e ingiustamente – di avere ispirato la denuncia del 2 giugno, il caso del diacono, atteso che l’invito all’ordinario diocesano di procedere con il sacramento era rimasto carta straccia, e il caso di un sacerdote ritenuto assolutamente non adeguato alla responsabilità affidatagli, con pericolo incombente delle coscienze…».
(fine della terza parte/continua)
ho letto la sua risposta e riporto alla lettera giusto la prima frase………—–Per carità, non ho alcuna autorità, esprimo solamente il mio pensiero e sono disponibile al confronto. Se qualcuno si sente offeso per le mie parole gli faccio le mie più sentite scuse.
una frase che mi ricorda tanto una sola persona.
Stesso stile anche nel ricordare gli aneddoti. Più di una volta ho avuto modo di sentire questa persona parlare alla gente RACCONTANDO aneddoti della propria vita.
Caro signor @franco Anedda mi sa che entrambi abbiamo capito chi si nasconde dietro questo nome.
ROTFL
mi rivolgo al sig. Franco Anedda, con quale autorità lei si prende liberamente il lusso di etichettare il diacono in questione come “guardone” e “diffamatore” ?? lei parla di un processo in sede canonica, civile e penale. quando in diversi quotidiani e altre riviste leggo che questo processo non verrà mai fatto, ora mi chiedo, chissà in questo caso a chi gioverà di più un processo, dove potrebbero anche farsi avanti altri “guardoni” o addirittura “vittime”, quindi non solo mi affido alla giustizia divina che da buona “guardona” sa tutto di tutti noi, ma mi auguro che chi di dovere prenda seri provvedimenti nei confronti di chi usa le proprie “MANI” per ricoprire di fango chi vive con veri e profondi principi cristiani…….
Per carità, non ho alcuna autorità, esprimo solamente il mio pensiero e sono disponibile al confronto. Se qualcuno si sente offeso per le mie parole gli faccio le mie più sentite scuse.
Temo che il seminarista sia stato strumentalizzato per fini poco nobili ma, per quel poco che so, non riesco ad essergli solidale.
Chiedere ad altri l’eroismo non è giusto però si stimano molto di più gli eroi rispetto a chi eroe non è.
Provo a fare un esempio di eroe cristiano degno di ogni onore raccontando una ipotetica storia, priva di rapporto con fatti realmente avvenuti.
Un seminarista eroico assiste ad una grave mancanza da parte di alcuni religiosi, segnala giustamente quanto è venuto a sua conoscenza a chi di dovere e mantiene un riserbo assoluto per non recare danno alla Chiesa che ama.
In seguito subisce pressioni indebite volte a fargli ritrattare l’accusa, segnala giustamente queste pressioni chi di dovere e mantiene un riserbo assoluto per non recare danno alla Chiesa che ama.
Subisce ulteriori pressioni volte a fargli ritrattare l’accusa, segnala giustamente queste ulteriori pressioni a chi di dovere e mantiene un riserbo assoluto per non recare danno alla Chiesa che ama.
A seguito di queste vicissitudini vede rinviata la sua ordinazione a sacerdote, ma ha fede che quanti nella Chiesa sono a conoscenza dei fatti riconosceranno la correttezza del suo comportamento e gliene renderanno merito; per questo attende fiducioso.
In ogni caso, in attesa di vedere riconosciuti i suoi meriti, continua a mantenere un riserbo assoluto per non recare danno alla Chiesa che ama.
Per lui conta sopratutto questo: Colui che tutto vede, lo Sposo della Chiesa, gli renderà merito per la sua rettitudine e questo per lui vale più di qualunque altra cosa.
Ecco un eroe, un perfetto cristiano, in breve: un uomo di Chiesa!
Alcuni cristiani sono stati ancora più eroici: hanno accettato il martirio per la loro fede.
Infatti , caro Anedda avrebbe fatto bene a tacere coi giudizi temerari fin dall’inizio, perchè lei non sa se sia stato effettivamente il seminarsista diacono ad aver parlato qua e là…piuttosto ci è noto che sia il Vescovo che continuamente ne parla e sparla…poca prudenza e delicatezza…non sappiamo veramente chi sia “l’eroe”: o Mani o il diacono!?! non abbiamo gli elementi, oppure se ne parla ed ha le prove devo pensare che il Vescovo ne ha parlato o sparlato anche con lei …tutto il resto, per ciò che concerne il vero amore alla Chiesa, lo condivido…vedremo che succederà con la speranza che trionfi la verità, sarebbe ora…
Rispiego per chi non avesse compreso l’evidenza e richiedo a Vito di incalzare Murtas almeno su questo.
Mi cito: [Un brano tra i tanti degni di maggiore approfondimento: “…Di qui la guerra a più forti toni: mai e poi mai ti ordinerò prete, se prima non ritratti le accuse».”]
Ipotizziamo che tale frase sia stata davvero (io non ci credo) detta dal vescovo al seminarista: mi sembra ovvio che questo colloquio sarebbe avvenuto in assenza di testimoni.
Ora è provato che Murtas riferisce tali parole, la fonte non può essere Mani quindi la fonte dovrebbe essere il seminarista.
In alternativa qualcuno avrebbe inventato la scena a scopo diffamatorio, in questo caso il seminarista ha l’obbligo morale di smentire ma evidentemente non lo ha fatto.
Quindi, a prescindere dalla corrispondenza o meno ai fatti di quanto affermato, resta a carico del seminarista, e dei propalatori di infamie, una grave responsabilità.
Racconto un aneddoto: anni fa ho incontrato un amico il quale mi ha riferito che una mia ex amica gli avrebbe detto che io lo diffamavo.
La mia risposta fu: “Io nego di averti diffamato ma capisco che la mia parola varrebbe quanto la sua. Però, in ogni caso, è fuor di dubbio che lei vuole farci litigare quindi non puoi considerarla una “fonte” attendibile.”
Ci siamo fatti una risata e siamo rimasti amici.
Ho dimenticato di far presente che il mio amico è una persona dalla vivace intelligenza.
Ricordo che Vito ha scritto: “Murtas ha accesso a fonti di prima mano, sa quello che dice e io ho potuto verificarlo.”
La fonte “di prima mano” se non è monsignor Mani è il seminarista, tertium non datur, se non si considera l’ipotesi che qualcuno si sia inventato tutto.
Ancora con ipotesi, sig. Anedda? Ma non ha ipotizzato che il Vescovo in risposta a tanti preti che domandavano: Perchè non lo ordina sacerdote? Egli in risposta abbia detto che fino a quando non avrebbe ritrattato non lo avrebbe ordinato (si informi bene)…e poi non dimentichi che la Congregazione per il Clero, che certamente è informata molto meglio di me e di lei su questo caso, ha emanato un decreto nel quale si dice che non sussistono cause canoniche per negare l’ordinazione al diacono e che perciò bisogna procedere con l’ordinazione e obbedire…mi sa che Mani non l’ha ingoiata…le ripeto che davanti alle sue ipotesi di cui non ha le prove, per quanto verosimili siano, finora l’unica prova tangibile che abbiamo in mano(leggi il portico e l’Unione Sarda) è che il Vescovo non tace e dà apertamente la sua personale versione dei fatti diffamando gli altri.
Tutta la faccenda sta prendendo una piega estremamente fastidiosa, col fatto che come al solito la si butta tutta in politiva. E la violenza verbale fa capire che gli interessi di parte ci sono eccome. Secondo me, Vito, dovresti proprio chiudere questo post, visto che i commenti che ne stanno venendo fuori sono, prima che esacerbati, improduttivi. O meglio, producono solamente risentimenti, accuse ingiuste e offese a un galantuomo come Murtas. Tanto si capisce che la vicenda rirpopone le abituali gerarchie e schieramenti della società cagliaritana. Io ad alcuni commenti anche su di me ormai non rispondo più. Complimenti per il coraggio, comunque!
Gianfranco Murtas studioso serio e stimato? Ma la smettete di scappellarvi?! A parte il fatto che è massone e per questo ci gode a mettere in cattiva luce la Chiesa e farla apparire un covo di vipere, ma stimato da chi? Al massimo è un onesto cronachista, non esageriamo, dai, o vogliamo far ridere i polli?
All’amico Italo consiglio la lettura della prima parte dell’intervista per capire chi è e cosa fa Gianfranco Murtas e quali e quante pubblicazioni ha dedicato alla Chiesa in Sardegna. Non penso che mons. Tiddia avrebbe accettato di farsi intervistare in un libro redentemente pubblicato da chi, come tu affermi, “gode a mettere in cattiva luce la Chiesa” . L’appartenenza (passata) di Murtas alla Massoneria è peraltro notoria, essendo lui il massimo studioso della Massoneria in Sardegna. No, non penso che i polli stiano ridendo.
Invece credo che sia importante conoscere anche le altre tesi, proprio considerato che la Diocesi ha fior di organi di stampa “senza contradditorio”, questi si. Inoltre non vedo il problema a cercare di chiarire le probabili origini di un conflitto evidente all’interno della comunità cattolica di Cagliari, non tanto per schierarsi come se fossimo allo stadio, ma per avere davvero libertà di opinione e di discernimento. La vera fede, d’altronde non ha paura di argomentare le proprie ragioni a chiunque gliene chieda conto. Trincerarsi dietro le proprie convinzioni non aiuta ad aprirsi agli altri ed a comprendere. Stimo moltissimo Gianfranco Murtas il cui lavoro di storico e di ricercatore è sempre stato onesto e infaticabile.
Sì, sì…sul portico c’è scritto che il diacono in questione viene bloccato perchè reo di aver denunciato una presunta relazione omosessuale di un prete romano e a sua volta è stato querelato dal prete romano accusato…quindi il Diacono è bloccato da Mani per questo…mi piacerebbe sapere se anche il prete romano è stato bloccato come è stato bloccato il diacono cagliaritano, oppure magari continua ad essere tranquillamente parroco!?!Mi pare che tra l’accusa di diffamazione e quella di omosessualità, per un prete sia più grave la seconda..Ma se qualcuno assiste ad una scena indegna che riguarda un prete “strano”che deve fare se non parlarne col superiore del prete?Se questo però gli costa una denuncia per diffamazione allora è meglio, a quanto pare, star zitti..sul portico è stata data la versione di Mani, ma è stata data e si sa in giro che il processo contro quel diacono non è in corso, ma è stato sospeso al suo esordio….ricordiamoci: Mani è stato vescovo ausiliare a Roma e penso abbia le mani in pasta anche in Vicariato e nel tribunale della diocesi di Roma
Spiego meglio: aver segnalato quanto avrebbe visto ad un superiore sarebbe stata cosa opportuna.
Diffondere la cosa a tutta la parrocchia è cosa gravissima ed illecita sotto tutti i punti di vista.
Questo è avvenuto e non è impossibile negarlo.
Le accuse valgono solo se provate, mentre la diffamazione è per sua stesa natura cosa evidente.
Uno è sicuramente un diffamatore, un altro, forse, ha compiuto atti indegni: non sono sullo stesso piano.
L’arcivescovo in questa faccenda ha tenuto un comportamento perfettamente lineare e corretto: non sta a lui giudicare ne l’uno ne l’altro, è in attesa che questo sia fatto da chi ne ha la competenza.
Qualunque altra considerazione, in assenza di prove, non ha valore.
L’aver messo in giro quelle voci, il formulare queste accuse, l’attribuire frasi senza alcuna prova è illecito, ignobile ed umilia chi se ne rende responsabile.
Io preferisco la parola del mio arcivescovo.
Ma Lei, Sig. Anedda è sicuro che il diacono ne abbia parlato a tutti facendo nome e cognome dell’interessato? ha le prove?..si informi bene, chieda a uno dei nostri vescovi sardi: guardi che fu lo stesso Arcivescovo a parlarne apertamente in Conferenza Episcopale Sarda facendone nome e cognome degli interessati, ha parlato a dei giornalisti durante una conferenza stampa facendo nome e cognome dell’interessato, ha parlato con preti, suore e seminaristi, cercando di mettere in cattiva luce il diacono ma ha ottenuto l’effetto contrario., perchè il diacono non spunta dal vuoto ed è conosciuto da tutta la diocesi..ha le prove che c’è un processo?Ha le prove che il Vescovo dica la verità? o difende sensa senso chi ha una mitria in testa? Per ora non abbiamo sentito ancora la voce del diacono e questo dimostra una grande saggezza e delicatezza…il diacono che lei giudica guardone, penso che, come chiunque, non si sarebbe voluto trovare in una situazione simile..segua, segua la parola del suo Arcivescovo, noi seguiamo quella del Papa che dice di fare chiarezza…
dice Anedda:
“Diffondere la cosa a tutta la parrocchia è cosa gravissima ed illecita sotto tutti i punti di vista.
Questo è avvenuto e non è impossibile negarlo.
Questo è avvenuto”…ma che prove ha? Semmai sappiamo tutti che l’Arcivescovo ne ha parlato in conferenza episcopale sarda facendo i nomi e cognomi degli interessati (chiaramente mettendo in cattiva luce il diacono e questo è gravissimo), ha poi nuovamente parlato del diacono (nome e cognome) ad un conferenza stampa in occasione delle ultime 11 nuove ordinazioni, ha parlato con preti,laici suore sempre mettendo in cattiva luce il diacono…mi pare che il giullare rivestito di mitria e pastorale sia un pò troppo pettegolo…su una cosa le tributo ragione: “la diffamazione è cosa evidente”, infatti il pettegolo (per il quale la mitria viene a costituire non un simbolo cristiano, ma purtroppo un prolungamento del vuoto) doveva essere più prudente, doveva tenere riservate le cose, invece è ancora a bocca aperta trascorrendo il suo tempo a pensare come distruggere il prossimo….ci accorgiamo tutti che non è stato all’altezza di fronteggiare una situazione del genere e questo continuo trattare queste cose ne è la testimonianza…per cui non scriva: “non sta a lui giudicare ne l’uno ne l’altro, è in attesa che questo sia fatto da chi ne ha la competenza”, perchè è evidente a tutti che queste sono parole di facciata e che il vizio del pettegolumine l’ha portato a manifestarsi chiaramente contro questo diacono e a totale favore del prete romano…è un vescovo attore e non è bravissimo neanche su questo campo..Addio
L’arcivescovo ha parlato pubblicamente di questa triste vicenda quando era ormai di dominio comune.
Non c’era più alcuna riservatezza da tutelare, c’era bisogno di fare chiarezza per mettere fine alle speculazioni che alcuni mestatori stavano facendo da tempo.
Avete dimenticato da cosa parte la disputa?
Un gruppo di potere che si era coagulato attorno a don Cugusi voleva temerariamente rendere inamovibile il parroco per tutelare i propri interessi.
In quell’occasione sono cambiati i parroci in cinque parrocchie: l’unica dove è stata scatenata questa guerra è Sant’Eulalia. Perché questo è avvenuto?
Le parole di Gianfranco Murtas alzano una nebbia oltre la quale è possibile ancora vedere la luce: basta guardare con occhi puliti.
Anonimo Maurizio, anche tu qui! Credimi, è possibile seguire sia l’Arcivescovo che il Papa, non c’è contrasto come tu ostinatamente credi di vedere. Sforzati, e ci riuscirai anche tu.
Caro Franco, Gianfranco Murtas è uno studioso serio e stimato. Le sue opinioni possono non piacerti ma sono, appunto, opinioni. I fatti che riferisce sono invece verificati e non infamità come tu ti permetti in maniera spericolata di definirle. Murtas ha accesso a fonti di prima mano, sa quello che dice e io ho potuto verificarlo. Quanto al contraddittorio, la tua idea mi sembra un po’ berlusconiana: in una intervista la controparte dell’intervistato è il giornalista, non la persona di cui parla l’intervistato!
Grazie comunque per i link che riportano il pensiero dell’arcivescovo.
In ogni ogni caso, caro Franco, perdonami ma prima di dare lezioni di giornalismo dovresti avere chiara la distinzione tra ordinazione e canonizzazione…
Che il mio errore sia un lapsus freudiano?
Il povero giovane ha subito così tante angherie e vessazioni da meritare direttamente la canonizzazione a santo e martire delle Chiesa!
A parte gli scherzi mi cospargo il capo di cenere per il mio imperdonabile errore.
Un brano tra i tanti degni di maggiore approfondimento: “…Di qui la guerra a più forti toni: mai e poi mai ti ordinerò prete, se prima non ritratti le accuse».”
A te, che hai potuto verificarlo, chiedo: Murtas è in grado di provare che Mani abbia pronunciato quella frase?
Le sue affermazioni hanno valore di prova a priori oppure senza essere suffragate da prove sono unicamente diffamazioni?
Da controparte, hai chiesto ed ottenuto le prove?
Comincio a provare un profondo disgusto per l’argomentare allusivo e fumoso di Gianfranco Murtas.
Vito, dare credito ad un mascariatore non ti fa onore: da buon giornalista quale sei non dovresti far passare tali infamità senza un contraddittorio.
Questa estate un vicino incivile mi ha rigato entrambe le auto. Quando ho sporto denuncia i Carabinieri alla domanda di rito su “eventuali sospettati del reato” mi hanno consigliato di non fare nomi in assenza di prove, per non espormi a querela, ed io non ne ho fatti.
Così va il mondo, ma d’altronde è giusto così.
Il seminarista “guardone” a meno che non abbia prove a sostegno delle sue accuse, verrà condannato per diffamazione nei confronti di un prelato in sede canonica, civile e penale.
In ogni caso, essendo in corso tale procedimento nei suoi confronti, sospendere la sua canonizzazione in attesa di sentenze definitive è atto dovuto da parte di Mons. Mani.
In questa triste vicenda, atti dovuti, compiuti alla luce del sole, vengono da Murtas & C. trasfigurati in crimini con una presupponenza manifestamente ridicola.
Un esempio: «Dico questo senza ombra di giudizio morale sulla persona invischiata. Il giudizio morale sale per la macchinazione che da lì si è costruita per depistare e mutare, diciamo così, il carnefice in vittima, e la vittima in carnefice…».
Vito, ti consiglio la lettura del Portico n° 29 e 30: sentire l’altra campana è necessario per fare buon giornalismo.
Con immutata stima.
http://www.diocesidicagliari.it/aspxPages/funzioni/portico.aspx
http://www.diocesidicagliari.it/public/attach/528/29%20il%20Portico%2010%2007%2025.pdf
http://www.diocesidicagliari.it/public/attach/528/30%20il%20Portico%2010%2008%2001.pdf
Non mi pare che l’argomentare del sig. Gianfranco Murtas sia allusivo e fumoso. Racconta dei fatti precisi, la veridicità dei quali sarà accertata nelle sedi appropiate.
Trovo invece il suo argomentare, sig. Anedda, troppo assertivo: il diacono è un guardone e un diffamatore.
I fatti sono quelli che si possono dimostrare.
Riguardo al “guardone”: io d’abitudine se vedo certi atti, tra etero o omo adulti consenzienti, di riflesso tendo a volgere lo sguardo altrove.
Lei cosa fa? Guarda con attenzione per sincerarsi su quello che stanno facendo?
Il fatto che il suo vicino incivile le abbia rigato le auto non potrà essere certificato con una sentenza; ma questo toglie verità a quanto successo e di cui lei è convinto?
Però mi impedisce, giustamente, di accusarlo senza averne le prove.
Altrimenti tutti potremmo essere accusati di tutto.
Cadono le braccia a leggere queste cose.